Canone Concordato - NEWS

 

Il contratto di locazione a canone concordato

di IMMOBILIARE BROKERHOUSE

L'AGENZIA IMMOBILIRE BROKERHOUSE È SPECIALIZZATA IN QUESTO TIPO DI CONTRATTO - SIA PER COMPILAZIONE, LA STIPULA 
SIA X L'APPROVAZIONE DA PARTE DEL Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti

Nel contratto "a canone concordato" il corrispettivo è regolato in Accordi Territoriali stipulati tra le Organizzazioni dei proprietari e quelle degli inquilini.

Come previsto dal comma 3 art. 2 della L.431/98 “le parti possono stipulare contratti di locazione, definendo il valore del canone, la durata del contratto, ed altre condizioni contrattuali sulla base di quanto stabilito in appositi accordi definiti in sede locale fra le Organizzazioni della proprietà edilizia e le Organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative. Al fine di promuovere i predetti accordi, i comuni, anche in forma associata, 
provvedono a convocare le predette Organizzazioni  

 I medesimi accordi sono depositati, a cura delle Organizzazioni firmatarie, presso ogni comune dell'area territoriale interessata”.

Il contratto di locazione a canone concordato permette di locare un immobile a uso abitativo per la durata minima di tre anni, prorogabile per altri due. Ma quali sono gli aspetti di questa tipologia contrattuale che destano maggiore interesse? Nel caso si decida di optare per questa formula, cosa è necessario sapere? Cosa, invece, è bene evitare?


Perché la locazione a canone concordato suscita interesse

“La locazione a canone concordato desta interesse principalmente per due ragioni: una riguarda la possibilità di ridurre la durata minima della locazione e l’altra le agevolazioni fiscali.

In merito alla durata, per il proprietario, il locatore, è interessante sapere di poter rientrare in possesso dell’unità abitativa in tempi più brevi rispetto alla norma. Anziché i classici 4+4, le locazioni a canone concordato offrono diverse tipologie con durate minime inferiori: 3+2 per le esigenze abitative ordinarie; i 31 giorni per i contratti transitori, che arrivano al massimo a 18 mesi; i contratti per studenti, che hanno una durata minima di 6 mesi + 6 mesi e una durata massima di 3 anni + 3 anni. Queste sono le tre tipologie di locazione a canone concordato che si possono stipulare in tutti i Comuni italiani (quelli per studenti si possono stipulare nei Comuni che ospitano le sedi di studio e in quelli confinanti) e che, nel caso in cui il Comune rientri tra quelli 'con carenze di disponibilità abitative', comportano particolari agevolazioni fiscali.

Per quanto riguarda le agevolazioni fiscali, se con il contratto a canone libero (4+4) la tassazione Irpef o Ires è piena e l’Imu non ha alcuna riduzione (optando per la cedolare secca, l’aliquota è al 21%), con il contratto a canone concordato nei Comuni sopra citati la tassazione ordinaria (Irpef o Ires), nonché l’imposta di registro, hanno una riduzione del 30% e l’Imu ha una riduzione del 25% (salve ulteriori riduzioni deliberate dal Comune). In più, optando per la cedolare secca l’aliquota è pari al 10%”.


In Italia dove è possibile stipulare contratti a canone concordato?

“Quelli per esigenze abitative ordinarie si possono stipulare in tutti i Comuni, ma nel nostro Paese le regole del canone concordato vigono a macchia di leopardo e non sono uniformi su tutto il territorio nazionale.

Non è il Comune che stabilisce le regole, bensì è una normativa nazionale,

predisposta dall’Autorità statale che ha le competenze sulle politiche abitative, ovvero il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che stabilisce le regole 'generali', mentre le regole specifiche per il singolo Comune si trovano nei singoli Accordi Territoriali, che però non sono stipulati dal Comune, ma sono stipulati tra le organizzazioni della proprietà edilizia, come la nostra, e le organizzazioni dell’inquilinato. C’è, dunque, un tavolo sul quale si contrappongono questi due interessi, che trovano una sintesi in quello che poi si chiama Accordo Territoriale, il quale viene depositato al Comune e alla Regione.

Il Comune a volte non entra in alcun modo nel confronto, perché non convoca le organizzazioni, che hanno la facoltà prevista dalla legge di autoconvocarsi; quando invece è il Comune a convocare le organizzazioni entra in modo 'concreto' nella contrattazione in linea di massima solo se attribuisce ulteriori agevolazioni, ad esempio sull’Imu, rispetto a quelle previste dalla normativa statale”.

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Quali sono le problematiche di questa tipologia contrattuale?

“Uno degli svantaggi sta nel fatto che nei contratti a canone concordato vige la compressione dell’autonomia negoziale delle parti.
Quindi, mentre nei canoni liberi il contratto si può personalizzare e adattare al singolo caso specifico inserendo qualsiasi tipo di clausola (che ovviamente non sia vietata dalla legge), nei contratti a canone concordato questo non è possibile, perché i testi sono stati studiati in sede di Convenzione nazionale, la quale contiene in allegato i testi contrattuali da utilizzare per le tre diverse tipologie, testi che sono stati recepiti dal Decreto Interministeriale del 16 gennaio 2017.
Nei contratti a canone concordato, quindi, i testi sono già predisposti. Non è possibile inserire nuovi obblighi, nuovi divieti, clausole risolutive espresse e così via. Si tratta di una struttura 'chiusa' al 90 per cento: come statuito dalla Cassazione, lo scostamento dai testi in allegato al Decreto può riguardare soltanto obbligazioni accessorie o aspetti marginali delle obbligazioni principali, in modo da non alterare l’assetto degli interessi quale precostituito nel contratto-tipo.

L’altro svantaggio, se così vogliamo chiamarlo, è il calcolo del canone, che deve essere compreso tra un minimo e un massimo entro una fascia di oscillazione da individuare secondo criteri riportati nei singoli accordi territoriali. Questo vuol dire che nei Comuni dove l’accordo territoriale è stato fatto bene e i canoni sono appetibili, l’interesse per questa tipologia di contratto è elevata; dove invece i canoni non risultano convenienti, l’interesse per questa tipologia di contratto è minima.

A tal proposito, possiamo affermare che i due Accordi Territoriali vigenti contemporaneamente a Roma sono stati fatti con criteri di calcolo dei canoni adatti, che li rendono comunque appetibili, di conseguenza abbiamo avuto moltissimi immobili messi sul mercato in locazione a canone concordato, con vantaggi di gettito per l’Erario; in altri Comuni, come ad esempio a Milano, i proprietari non ritengono conveniente locare a canone concordato per via di canoni esageratamente bassi. E’ importante trovare un giusto equilibrio tra il funzionamento dell’accordo territoriale e le tutele legate al canone, che deve essere comunque più basso del canone libero”.


Quali sono invece i vantaggi?

“Sostanzialmente, quando si parla dei vantaggi, si fa riferimento alle agevolazioni fiscali e alla durata minima del contratto. Ma, come abbiamo detto, il vantaggio dipende anche dal fatto se nel territorio vige un accordo territoriale conveniente o meno per chi ha la disponibilità degli immobili e li vuole mettere in locazione.

Non bisogna dimenticare poi che anche per il conduttore ci sono delle agevolazioni fiscali. 

Ad esempio, i conduttori di contratti a canone concordato che destinano l’alloggio ad abitazione principale hanno diritto a una detrazione Irpef pari a 495,80 euro, se il reddito complessivo non supera 15.493,71 euro, e a una detrazione Irpef pari a 247,90 euro, se il reddito complessivo è superiore a 15.493,71 euro ma non superiore a 30.987,41 euro. Stipulando un canone libero anziché un canone concordato, la prima detrazione scende a 300 euro e la seconda a 150 euro”.


Quali sono le modalità di accordo tra proprietari e inquilini?

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“Per stipulare un canone concordato si possono utilizzare due diverse modalità. La prima – più rara – si chiama 'contratto assistito' e prevede che venga materialmente redatto dall’organizzazione del locatore e da quella del conduttore e sottoscritto anche dalle suddette organizzazioni sindacali. Questo contratto dal punto di vista normativo nasce già 'perfetto' e quindi necessita di avere solo una 'scheda calcolo canone' che viene rilasciata dalle organizzazioni e costituisce parte integrante del contratto.

Il contratto che si usa nella pratica quotidiana si chiama invece 'contratto non assistito', il che non vuol dire che non possa esserci consulenza da parte dell'organizzazione sindacale, ma non è tecnicamente un’assistenza alla stipula. In questo caso, il contratto viene stipulato dalle parti, locatore e conduttore; le organizzazioni, salvo nel caso rarissimo in cui l’accordo territoriale lo preveda, non mettono timbri o firme sul contratto, perché non è stato redatto dalle organizzazioni, ma dalle parti.

Nella pratica, nel caso del 'contratto non assistito', la parte che ha più interesse – in linea di massima il locatore - si deve rivolgere all’organizzazione a cui aderisce (dovrebbe rivolgersi ad una delle organizzazioni sindacali della proprietà edilizia, che a livello nazionale sono otto) e richiedere l’attestazione di rispondenza, che è obbligatoria.

A quel punto l’organizzazione esamina il contratto dal punto di vista normativo e dal punto di vista economico. L’attestazione, infatti, è un documento che attesta la rispondenza all’accordo territoriale sia della parte normativa sia di quella economica del contratto. Questa attestazione attribuisce le agevolazioni fiscali e nell’emetterla le organizzazioni si assumono anche una responsabilità erariale. Una volta ottenuta l’attestazione, il contratto si può registrare”.


Quale consiglio può dare a chi vuole optare per una locazione a canone concordato?

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“Il consiglio a un proprietario immobiliare che si accinge a locare a canone concordato è quello di approcciarsi a una delle organizzazioni della proprietà edilizia e chiedere istruzioni prima di fare qualunque altra cosa. 

L’organizzazione fornirà i testi di contratto da utilizzare, spiegherà cosa bisogna evitare e cosa invece si può fare, rilascerà un pre-calcolo del canone ammissibile, in modo tale da stipulare un contratto con un canone corretto e che dunque possa essere attestato”.

Cosa è necessario sapere prima di stipulare un contratto di locazione a canone concordato?

“Il proprietario deve innanzitutto decidere quale accordo territoriale utilizzare, se nel proprio Comune ne vigono più di uno in contemporanea, come ad esempio a Roma e a Bergamo. In questi casi, valuterà quello che si adatta meglio alle caratteristiche oggettive del proprio immobile, che devono essere dichiarate all’organizzazione sotto la sua responsabilità, come previsto dal decreto interministeriale. Una volta deciso quale accordo utilizzare, il proprietario deve rivolgersi ad una tra le organizzazioni che hanno stipulato quell’accordo.

L’organizzazione a quel punto fornisce le istruzioni e la modulistica necessaria, il testo di contratto da utilizzare, che deve essere personalizzato inserendo i dati anagrafici, i dati dell’immobile, qualche clausola aggiuntiva ove congrua, eventuali garanzie o fideiussioni di terzi, se ne esistono. Qualche piccola modifica, come anzi detto, può essere operata, ma il contratto non deve essere stravolto, altrimenti perde la rispondenza normativa e non può essere attestato. Della registrazione se ne può occupare l’organizzazione oppure direttamente il locatore. Quello che è obbligatorio per il locatore richiedere all’organizzazione è l’attestazione”.


C’è un aspetto al quale bisogna prestare particolare attenzione?

“La massima attenzione deve essere prestata ai contratti transitori, dal momento che non è assolutamente vero che il contratto è 'transitorio' perché così hanno deciso le parti.

Per poter locare con un contratto transitorio, che quindi dura al massimo diciotto mesi e quando cessa non può essere rinnovato, è necessario che ci sia un’esigenza di transitorietà tra quelle indicate nell’accordo territoriale, che ci sia documentazione giustificativa di queste esigenze, che deve obbligatoriamente essere allegata al contratto, oltre al fatto che l’esigenza deve essere indicata nel contratto stesso.

Quindi, laddove l’esigenza sia verificata e documentata il contratto transitorio si può stipulare, altrimenti non si può stipulare o comunque, nel caso l’esigenza ci sia, ma non sia facilmente documentabile, bisogna ricorrere ad assistenza bilaterale, quindi in linea di massima ad un contratto assistito. Ma, soprattutto, il decreto prevede una sanzione importante per chi stipula un contratto transitorio senza rispettare le regole, ossia una conversione in un abitativo 4+4 a canone libero, con la perdita delle agevolazioni fiscali, la durata che diventa di otto anni, il possibile svincolo da parte del garante/fideiussore.

Non solo: il locatore potrebbe addirittura essere condannato alla rifusione al conduttore dell’importo di canone percepito in più, perché il contratto transitorio, nel calcolo del canone, può avere degli incrementi che vanno anche fino al 20%. Quindi, laddove il contratto sia stato stipulato in modo non corretto, il locatore viene condannato a restituire l’indebito percepito. Si tratta di un contratto particolare al quale purtroppo le persone si approcciano con spaventosa leggerezza”.


Cosa, infine, non si dovrebbe fare?

“So di affermare qualcosa di non 'politically correct', ma una delle prime cose che mi vengono in mente è quella che se si vuole locare a canone concordato non ci si dovrebbe rivolgere ad un Caf per la stipula e l’attestazione. Ovviamente va bene per la successiva registrazione.

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Il locatore pensa, generalmente, che sia il Caf che emette l’attestazione. Le attestazioni, al contrario, sono emesse dalle organizzazioni della proprietà edilizia o dell’inquilinato che hanno stipulato l’accordo territoriale. A sua volta, quindi, il Caf deve passare l’intera pratica a una delle organizzazioni che può emettere l’attestazione, con un’interposizione che a volte può creare problemi. Questo perché è chiaro che un Caf che segue moltissime tipologie di pratiche differenti può non accorgersi che, a mero titolo di esempio, la clausola della garanzia non ha riportato l’importo massimo garantito e quindi è nulla, oppure che è stata introdotta una clausola risolutiva espressa e così via.

Per di più, ci sono casi in cui il Caf, il cui cliente è il proprietario immobiliare, passa la pratica ad un'organizzazione sindacale dell’inquilinato, il che, anche se non rende invalida l’attestazione, certamente potrebbe dare un diverso taglio alla tutela del locatore e in ogni caso quest’ultimo andrebbe previamente informato di questa particolarità”.

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Cos’è il diritto di superficie e come viene utilizzato:

Cos’è il diritto di superficie e come viene utilizzato:
L
’art. 952 c.c. reca la costituzione del diritto di superficie, un diritto reale di godimento che consente di costruire e mantenere una costruzione sul suolo altrui.



18 Aprile 2023

Cosa significa avere il diritto di superficie? Si tratta di un diritto reale di godimento che permette a un soggetto di edificare al di sopra o al di sotto di una proprietà altrui.

In altre parole, acquisire un diritto di superficie significa entrare in possesso solo della costruzione ma non del suolo. Solo i beni immobili possono essere oggetto di questo diritto.

Cerchiamo di capire meglio come funziona il diritto di superficie sancito dal Codice civile italiano.
La disciplina del diritto di superficie, appartenente al campo del diritto privato, è contenuta nel Codice civile, più precisamente negli articoli 952 c.c. e seguenti. Il diritto in questione è costituito da due comma che individuano due differenti tipologie di diritto di superficie:

Il diritto di costruire e mantenere la proprietà superficiaria;
il diritto di proprietà di una costruzione preesistente, acquistata separatamente rispetto al suolo.
Entrambe le fattispecie, all’art. 952 c.c., condividono le modalità di costituzione del diritto, ovvero:

  • contratto;
  • testamento;
  • usucapione.

Ad ogni modo, i soggetti che desiderano beneficiare di una proprietà superficiaria, devono acquistare il diritto di superficie con atto notarile. In tale atto si sanciscono gli accordi tra proprietario e superficiario.

In alcuni casi, tuttavia, il diritto di superficie può essere costituito attraverso un provvedimento amministrativo, come nel caso della concessione edilizia. In ogni caso, la costituzione del diritto di superficie deve essere formalizzata in modo scritto e resa pubblica presso il registro immobiliare.

Diritto di superficie: un esempio concreto



Il proprietario del suolo ha a disposizione diverse opzioni che riguardano la cessione del diritto di superficie. Dal momento che il proprietario del suolo può trasferire il diritto di superficie al di sopra e al di sotto del suolo, l’ipotesi classica prevede la divisione dei due spazi e dei diritti ad essi attinenti a due soggetti diversi.

Il proprietario del suolo può costituire il diritto di superficie di una costruzione (edificata sul suolo) a un soggetto, e la proprietà del garage o struttura al di sotto del suolo ad un terzo. 

Un altro esempio di diritto di superficie può essere quello di un’azienda che potrebbe avere la necessità di costruire un edificio per ampliare le sue attività senza però acquisire anche la proprietà del suolo.

Ancora, un’altra forma di diritto di superficie potrebbe riguardare l’acquisizione di una costruzione preesistente da parte di un’azienda su un terreno di proprietà altrui.

Diritto di superficie e diritto di proprietà: le differenze


diritto di superficie

Il diritto di superficie e il diritto di proprietà sono due concetti giuridici differenti, ma spesso confusi tra loro. Il primo è un diritto reale limitato, che permette ad un soggetto di costruire o coltivare su un terreno che non gli appartiene per un determinato periodo di tempo e di acquistarne la proprietà superficiaria.

In genere la durata del diritto di superficie è di 99 anni, passibile di rinnovo per altri 99 anni. Il secondo, invece, è un diritto di godimento pieno assoluto sul bene immobile, che comporta la piena disponibilità e la possibilità di disporre del terreno in qualsiasi modo si desideri. 

La trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà, tuttavia, è possibile e rappresenta un passaggio importante che comporta l’estinzione del primo diritto e la nascita del secondo. In senso pratico, significa che il superficiario diventa pieno proprietario del terreno sul quale ha edificato o coltivato.

trasformazione diritto di superficie in diritto di proprietà



Ma quanto costa trasformare il diritto di superficie in diritto di proprietà? La risposta dipende da vari fattori, tra cui la situazione urbanistica del territorio e la valutazione del terreno stesso. In genere, il costo può essere elevato, ma per capire quanto vale il diritto di superficie, è necessario valutare attentamente i pro ed i contro di questa operazione.

I vantaggi della trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà sono la possibilità di vendere il terreno o di utilizzarlo come garanzia per un prestito. Ma l’acquisizione della piena proprietà del suolo oltreché della costruzione comporta anche degli svantaggi, come l’obbligo di pagare tasse e imposte.

Legge 167, edilizia convenzionata e diritto di superficie
La legge 167/1962 è una norma che ha introdotto in Italia la cosiddetta edilizia convenzionata, un sistema di incentivazione alla realizzazione di edifici a destinazione residenziale a prezzi contenuti e, pertanto, destinati a famiglie con redditi bassi o medi.

edificio residenziale


Il diritto di superficie può essere utilizzato come strumento per la realizzazione di edilizia convenzionata poiché consente ai proprietari del terreno di mettere a disposizione il suolo per la realizzazione di opere a destinazione residenziale.

Una volta terminati i lavori, le costruzioni possono diventare di proprietà dei concessionari del terreno, i quali si impegnano a vendere gli appartamenti a prezzi vantaggiosi per le famiglie a basso reddito.

Durata ed estinzione del diritto di superficie




Le regole del diritto privato sul diritto di superficie recano anche la durata ed il momento in cui il diritto si considera estinto.

In particolare, all’art. 953 c.c. si afferma che la durata del diritto di superficie può essere indeterminata o determinata (durata di 99 anni).

A tal riguardo, la trasformazione della proprietà superficiaria in proprietà piena può avvenire anche con l’istituto del “riscatto del diritto di superficie” con il quale alcuni Comuni concedono la modifica del diritto anche prima della scadenza dei 99 anni.

diritto di superficie durata

All’art. 954 c.c., invece, elenca le cause di estinzione del diritto di superficie, ovvero quando vi sono le seguenti situazioni:

  • scadenza del termine per cui è stato concesso il diritto;
  • compimento dell’opera o della coltura e, dunque, l’adempimento delle condizioni previste dal contratto di superficie;
  • prescrizione per mancato uso del diritto;
  • rinuncia volontaria del superficiario;
  • revoca del proprietario;
  • perdita della proprietà del fondo da parte del proprietario.
L'estinzione del diritto di superficie sull’immobile o sul sottosuolo comporta la cessazione dei diritti e delle obbligazioni tra il superficiario e il proprietario del terreno su cui estendeva il diritto. In sostanza, il titolare del diritto perde la facoltà di utilizzare il terreno ed il proprietario ne riacquista il pieno controllo.


Le imposte obbligatorie che riguardano il diritto di superficie

diritto di superficie imposte



Dopo la cessione del diritto di superficie e l’utilizzo da parte del titolare, quest’ultimo è tenuto a pagare delle imposte. In particolare, si tratta di:

  • imposte di registro;
  • imposta municipale sugli immobili (IMU).
Pertanto, prima di procedere con la costituzione del diritto di superficie, è necessario avere conoscenza dell’importo tassabile a seconda che si tratti di acquisizione del diritto da parte di una persona fisica o un’impresa.

Diritto di superficie su terreno agricolo e area demaniale
diritto di superficie terreno agricolo



Il diritto di superficie può essere costituito anche dai proprietari di terreni agricoli per un tempo determinato.

Quando l’oggetto del diritto di superficie è un terreno agricolo, è possibile che il superficiario desideri sfruttare il terreno per installare un impianto fotovoltaico.

In questo caso, il titolare del diritto di superficie sarà soggetto al pagamento della tassazione sul fotovoltaico per diritto di superficie. Più nello specifico si tratta di un’imposta di registro, la cui aliquota specifica è fissata all’8%.

tassazione fotovoltaico diritto di superficie



È anche possibile acquisire il diritto di superficie su area demaniale e dunque su un bene destinato all’uso gratuito dei cittadini. La costituzione di tale diritto consente di occupare l’area dietro il pagamento di un canone. È il caso, ad esempio, delle concessioni marittime per la realizzazione di lidi privati.


Cosa fare in caso di servitù di passaggio


Se si possiede un diritto di superficie su un terreno ma è presente una servitù di passaggio che consente ad altri soggetti di attraversarlo per accedere ad altre proprietà, è importante conoscere i propri diritti e doveri in materia.

servitù di passaggio

In primo luogo, è necessario verificare che la servitù di passaggio sia effettivamente legittima e costituita in modo corretto.

Nel caso in cui si riscontrassero irregolarità, si potrebbe ottenere la rimozione. Nel caso in cui la servitù sia completamente legittima, il proprietario del terreno potrebbe richiedere un indennizzo per il suo utilizzo.

Tuttavia, se il diritto di superficie è stato costituito successivamente alla servitù di passaggio, il proprietario del terreno potrebbe essere obbligato a consentire il passaggio gratuito ai soggetti aventi diritto sulla servitù.

Per evitare problemi di ogni sorta, è possibile individuare un accordo tra il titolare del diritto di superficie ed il proprietario della servitù nei casi di servitù volontarie. Di contro, per le servitù coattive è la legge a imporre ai soggetti le procedure da seguire.

Bonus casa 2023

 Bonus casa 2023

03 Febbraio 2023, 11:05


Casa: quali sono i bonus previsti per quest’anno?

Dal Superbonus al bonus ristrutturazioni o Ecobonus, ecco a voi le agevolazioni fiscali previste per quest’anno: anche quest’anno ristrutturare per migliorare la qualità dell’immobile conviene, grazie ai bonus casa 2023.
Con la fine del 2022 alcuni bonus riguardanti la casa sono giunti al capolinea. Si pensi al bonus facciate, al bonus prima casa under 36 o al bonus per l’abbattimento delle barriere architettoniche al 75%, per i quali il tempo è ormai scaduto.
La maggior parte dei bonus sono comunque ancora attivi: ecco a voi l’elenco!
Superbonus (ex 110%)
Con l’entrata in vigore del Decreto Aiuti quater il famoso Superbonus passa al 90% nel 2023, per poi scendere al 70% nel 2024 e al 65% nel 2025. Nessuna variazione di aliquota per i lavori già iniziati purché sia già stata presentata la Cilas prima dell’entrata in vigore del provvedimento.
Per le villette unifamiliari invece c’è una proroga al Superbonus 110%. Se prima la scadenza era stata fissata al 31 dicembre, ora si potrà beneficiare della maxi detrazione fino al 31 marzo 2023. Condizione necessaria è che entro il 30 settembre 2022 siano stati completati il 30% dei lavori complessivamente da eseguire.

Bonus ristrutturazione

Viene confermato fino al 2024 il bonus per i lavori di recupero del patrimonio edilizio per i quali è prevista una detrazione con aliquota pari al 50%, entro un limite massimo di spesa pari a 96.000 euro. Se non vi saranno ulteriori proroghe l’agevolazione tornerà poi ad essere pari al 36% su un massimo di spesa di 48.000 euro.
È previsto il rimborso fiscale in 10 rate annuali di pari importo con possibilità di scegliere, in alternativa alla detrazione diretta, lo sconto in fattura o la cessione del credito, come nel caso del Superbonus 110.
Sisma bonus
Per interventi finalizzati all’adozione di misure antisismiche il Sismabonus è stato riconfermato fino al 31 dicembre 2024. Il bonus può essere utilizzato nelle zone a rischio 1, 2 e 3.
Anche per il Sismabonus sono previste aliquote diverse a seconda della tipologia di intervento che viene effettuato sull’immobile.
La detrazione sarà pari al 70% nel caso venga diminuita una classe di rischio. Sarà pari all’80% qualora vi sia la diminuzione di 2 classi di rischio.
Per il miglioramento antisismico delle parti comuni del condominio si arriva ad una detrazione del 85% in caso di miglioramento di due classi con un limite massimo di spesa pari a 96.000 euro.

Ecobonus

Nessuna novità per l’Ecobonus prorogato fino al 2024. Ricordiamo che rientrano nella detrazione i lavori finalizzati al miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici. Si pensi ad interventi di coibentazione, sostituzioni di finestre e infissi, nonché sostituzioni di impianti di climatizzazione invernale.
Le percentuali di detrazione sono diverse e vanno dal 50% al 65% in base al tipo di lavoro eseguito.
Anche l’Ecobonus è ottenibile attraverso la detrazione Irpef in 10 rate annuali oppure tramite la cessione del credito o lo sconto in fattura immediato.

Bonus mobili

In parallelo al Bonus ristrutturazioni si potrà approfittare per arredare la casa usufruendo del Bonus mobili, l’agevolazione per l’acquisto di mobili o elettrodomestici ad alta efficienza energetica.
La detrazione prevista per gli anni 2023 e 2024 è pari 50% su acquisti fino a 5.000 euro.

Bonus verde

Per il rifacimento di giardini e terrazzi confermato il Bonus verde fino al 31 dicembre 2024. Il Bonus Verde consiste in una detrazione del 36%, per un ammontare complessivo non superiore a 5.000 euro per immobile.
Previsto per gli interventi rivolti alle aree verdi degli edifici privati, il rimborso fiscale viene ripartito in 10 quote annuali di pari importo.
Danno diritto all’agevolazione anche le spese di progettazione e manutenzione connesse alla realizzazione dei lavori indicati.

L'acquisto CASA: come finanziarlo, come proteggerlo??

E' il momento di ... comprare Casa ...

continua ad essere un obiettivo di molti, anche se oggi esistono varie formule di affitto ad uso abitativo e addirittura la possibilità anche per i privati cittadini di sottoscrivere un leasing immobiliare, con agevolazioni fiscali significative per i giovani.

La maggior parte degli italiani sceglie di abitare in una casa di proprietà e non in affitto, perché vede nel "mattone" una tradizionale forma di impiego del proprio risparmio, almeno per l’abitazione di residenza.

Devi considerare che...

... prima di comprare una casa è importante valutare tutte le spese che questa scelta comporta, il denaro su cui puoi contare e quanto chiedere eventualmente in prestito, avendo presente quale è la rata massima di rimborso che puoi sostenere. Considera bene se e quale casa puoi permetterti di comperare. Queste sono le fondamenta su cui costruire tue scelte sull’abitazione.

Esistono variabili e opportunità che potresti non conoscere e non avere considerato per portare avanti il tuo progetto. Se hai necessità di richiedere un finanziamento, i mutui ipotecari sono le forme di finanziamento più diffuse ed economiche: si chiamano così perché prevedono l’accensione di un'ipoteca sull'immobile per il quale richiedi il prestito. In altre parole, a garanzia del pagamento - in caso di insolvenza - stai offrendo la casa stessa. Confronta tante offerte in modo da scegliere le condizioni più vantaggiose, ad esempio quelle con i tassi di interesse più bassi, e quelle più adatte alle tue esigenze.

Prima di accendere un finanziamento è importante valutare bene l'impegno che puoi sostenereovvero quanta parte di reddito puoi destinare al rimborso delle rate: non basarti solo sulle disponibilità e sulle esigenze presenti, perché nel tempo possono cambiare. Una buona regola è quella di impegnarsi ad una rata del mutuo che non superi un terzo delle entrate mensili (sommando insieme stipendio o altre possibili fonti di reddito), per non trovarti impreparato o in difficoltà in caso di spese impreviste o al verificarsi di problemi connessi al lavoro e/o alla salute. Se hai contratto già altri finanziamenti o hai rate da pagare per altri beni/servizi (es. per l'auto), ricordati di considerare, nel calcolo della rata mensile che puoi sostenere, anche tutti gli altri tuoi debiti: anche la banca ne terrà conto per decidere se e quanto concederti in prestito. In altre parole, valuterà il tuo "merito creditizio".

Ricorda anche che quando richiedi un mutuo per comprare casa, in genere la banca sarà disposta a finanziare solo una parte dell’importo: è quindi importante avere dei risparmi che ti consentano di pagare la quota di costo non coperta dal mutuo.
 
A seconda delle tue caratteristiche e della casa che intendi acquistare, puoi verificare se puoi accedere al Fondo Garanzia mutui prima casa. Grazie a questa misura di facilitazione nell’accesso al credito, lo Stato si fa garante per te nei confronti della banca a determinate condizioni.
 
Sappi, inoltre che, se sei iscritto ad un fondo pensione, puoi chiedere un anticipo del capitale accumulato (fino al 75 per cento) per comprare o ristrutturare casa, tua o dei tuoi figli. Per non ridurre il capitale di cui potrai disporre al momento del pensionamento, puoi reintegrare nel tempo in tutto o in parte la somma prelevata. Analogamente, è possibile chiedere al datore di lavoro un anticipo del TFR.

Scegli sapendo che... 

... è importante tenere a mente che, oltre alla somma necessaria per pagare l’immobile, dovrai essere in grado di sostenere anche altre spese connesse al comprare casa, spesso a carattere di una tantum: i costi di una eventuale ristrutturazione, dell’arredamento e del trasloco, nonché le spese notarili, assicurative, fiscali e di intermediazione oltre ai costi di natura bancaria.

Ricordati, inoltre, che nel tempo potrai rinegoziare un vecchio mutuo per ricercare sul mercato condizioni migliori.

Ogni strumento ha le sue caratteristiche... 

... puoi richiedere un mutuo per acquistare, costruire e/o ristrutturare una casa. Solitamente - ma possono esserci eccezioni - la banca concede un mutuo di importo non superiore all'80% del valore dell’immobile, valore stabilito in base alla perizia effettuata da un esperto della banca stessa.

I mutui sono diversi tra loro per durata del finanziamento (che di solito è compresa tra i 5 ed i 30 anni, ma in alcuni casi può essere prevista una durata superiore) e per la modalità di calcolo della rata. La rata può essere calcolata applicando un tasso di interesse fisso o variabile sul capitale dato in prestito, ma sono disponibili sul mercato anche formule miste o con tetto massimo all’ammontare della rata mensile (è possibile variando la durata del finanziamento).

Se stai pensando di richiedere un mutuo, il primo punto da cui partire è individuare la soglia massima di indebitamento mensile che ti è possibile sostenere dato il tuo stile di vita e le tue esigenze, ad esempio il pagamento di altre rate di debiti, ovvero l’ammontare massimo della rata.

Alcuni esempi, che non esauriscono le possibilità...

I mutui sono l’esempio più ricorrente. Per tutelare te stesso, i tuoi cari e la tua abitazione, insieme al mutuo, è possibile accendere una polizza assicurativa che ti permetta di far fronte al pagamento della rata in caso di imprevisti e che la banca deve accettare senza modificare le condizioni offerte. Ad esempio, una polizza assicurativa, come la polizza payment protection insurance (PPI), potrebbe aiutarvi a rimborsare il mutuo se, a causa di eventi personali sfavorevoli (morte, invalidità permanente, infortunio, malattia, perdita dell’impiego), non sei più in grado di farlo. Assicurarti in vista di una possibile difficoltà economica futura è una tua scelta. La sola assicurazione obbligatoria associata all'accensione di un mutuo è, invece, quella sui danni all'immobile per incendio e scoppio. La banca che eroga il mutuo non può comunque obbligarti ad aprire un conto corrente né a stipulare una polizza assicurativa sulla vita proposta dalla stessa banca. Esistono, inoltre, fondi pubblici di solidarietà che consentono una sospensione momentanea del pagamento delle rate del mutuo in caso di improvvisa difficoltà economica connessa alla morte di uno di titolari del mutuo, nel caso di perdita di lavoro o di malattie gravi.
 
Una casa può costituire anche un investimento: ad esempio per ottenere mensilmente una rendita dall'affitto. In questo caso, è importante conoscere anche gli aspetti fiscali, in quanto le imposte che gravano sull'acquisto e la proprietà di seconde o terze case sono maggiori di quelle relative all'abitazione principale.

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Mutuo ipotecario ipotecario. Che Cos'è ?

 

Che Cos'è ?

Il mutuo ipotecario è la principale forma di finanziamento a medio-lungo termine che le banche e altri intermediari finanziari concedono. È principalmente utilizzato per l’acquisto di immobili, in particolare la casa di abitazione ma può servire anche per costruire o ristrutturare un immobile e per sostituire o rifinanziare mutui già ottenuti per le stesse finalità. 

Si definisce ipotecario poiché il rimborso nei confronti della banca è garantito da un’ipoteca sul bene acquistato. 

Il mutuo ipotecario di solito ha una durata da 5 a 30 anni ed è la forma più diffusa di credito immobiliare.

Come funziona?

Ti dà la possibilità di ricevere l’intera somma in un’unica soluzione, che potrai rimborsare nel tempo, con rate di importo fisso o variabile, definite da un piano di ammortamento.

La rata è composta di una quota capitale, a titolo di restituzione del prestito, e di una quota interessi, calcolata in base al tasso, che può essere fisso o variabile. In questo secondo caso il tasso è determinato in base ai parametri fissati sui mercati monetari e finanziari ai quali l’intermediario aggiunge una maggiorazione detta spread. Esistono anche soluzioni ibride.

Oltre agli interessi, un mutuo ipotecario prevede alcune spese aggiuntive:

  • un’imposta pari al 2% dell’ammontare complessivo, o allo 0,25% nel caso di acquisto della “prima casa”, che viene trattenuta direttamente dalla banca;
  • le spese di istruttoria;
  • le spese di perizia, che possono essere richieste per la valutazione dell’immobile da ipotecare;
  • le spese notarili per il contratto di mutuo e l’iscrizione dell’ipoteca nei registri immobiliari;
  • il costo del premio di assicurazione;
  • la commissione annua di gestione della pratica;
  • le spese per l'incasso della rata.

Quali rischi può comportare?

Il mutuo è un impegno economico importante da sostenere nel tempo, perché incide sul reddito disponibile per vari anni. È necessario valutarne attentamente la sostenibilità, prima di farne richiesta e anche durante il periodo di pagamento delle rate.
Il rischio principale nei mutui a tasso variabile è un aumento dell’importo delle rate, che vanno dunque attentamente valutate.
Se si paga la rata in ritardo si aggiungono gli interessi di mora, che in genere comportano una maggiorazione percentuale rispetto al tasso pattuito per il finanziamento e decorrono dal giorno della scadenza fino al pagamento della rata.

Cosa devi sapere sulle rate?

A parità di importo del finanziamento e di tasso di interesse, più breve è la durata del mutuo, più alte sono le rate e più bassi gli interessi. Viceversa, più lunga sarà la durata, maggiore sarà l’importo dovuto per gli interessi: le rate, però, saranno più basse perché la restituzione dell’importo preso a prestito viene distribuito su un periodo più lungo. Nel mutuo a tasso variabile il tasso di interesse è legato a un indice finanziario di riferimento: l’ammontare della rata del mutuo può variare a seconda dell’andamento dell’indice. Al momento della stipula del contratto, il mutuo può essere segnalato in diversi sistemi informativi sul credito, tra i quali quello gestito dalla Banca d’Italia e denominato Centrale dei rischi.

In caso di ritardato pagamento (totale o parziale) di una rata per oltre 30 giorni verranno applicati gli interessi di mora, che si aggiungeranno alle somme già dovute. Nei casi più gravi, l’intermediario può ottenere lo scioglimento del contratto e puoi perdere il diritto di proprietà sull'immobile ipotecato.

Cos'altro c'è da sapere?

Il mutuo è uno strumento che necessita un’attenta pianificazione di medio-lungo termine. Per questo, è essenziale valutare se le proprie entrate siano sufficienti per pagare le rate: possono sempre accadere imprevisti che richiedono nuove uscite (ad esempio spese mediche), oppure che comportano una diminuzione delle entrate (ad esempio la perdita del lavoro o la cassa integrazione). È in generale importante comprendere l’incidenza della rata sul reddito complessivo tuo e della tua famiglia. È ragionevole che la rata non superi un terzo del proprio reddito disponibile, per poter far fronte alle spese correnti, a quelle impreviste e a possibili riduzioni di reddito causate, ad esempio, da malattia, infortunio, licenziamento.

Se scegli un mutuo a tasso variabile, dovrai considerare la possibilità di un aumento del tasso, che potrebbe incidere notevolmente sulla rata, rendendola troppo onerosa. Per decidere tra tasso fisso e tasso variabile devi considerare anche la tua propensione al rischio.

Prima di ogni richiesta di mutuo o finanziamento, considera sempre con attenzione l’incidenza della rata sul tuo reddito disponibile, anche alla luce di altri prestiti, per evitare di trovarti in situazione di sovraindebitamento. Informati sulle diverse offerte leggendo i fogli contenenti le Informazioni generali o consultando motori di ricerca che offrono guide e confronti tra i vari mutui presenti sul mercato, prestando attenzione al TAEG, il Tasso Annuo Effettivo Globale, che indica il costo totale del prestito e che deve essere pubblicato per legge da tutti gli intermediari sul Foglio delle Informazioni Generali. Dopo aver acquisito le informazioni sulle tue esigenze, sulla tua situazione finanziaria e sulle tue preferenze, l’intermediario deve fornirti gratuitamente il modulo c.d. PIES (Prospetto Informativo Europeo Standardizzato), contenente le informazioni personalizzate necessarie per consentire un confronto tra le diverse offerte di credito sul mercato.

Prima della conclusione del contratto di credito hai diritto a un periodo di riflessione di almeno 7 giorni per poter confrontare diverse offerte, valutarne le implicazioni e prendere una decisione informata. I 7 giorni decorrono da quando ricevi l’offerta vincolante da parte dell’intermediario. Durante questo periodo l’offerta è vincolante per il finanziatore e puoi accettarla in qualsiasi momento. L’offerta è accompagnata dal PIES, se quest’ultimo non ti è stato fornito in precedenza o se le caratteristiche dell’offerta sono diverse dalle informazioni contenute nel PIES precedentemente fornito.

Se non riesci a pagare sempre e con puntualità le rate del mutuo o se diventano troppo elevate rispetto alla tua disponibilità, è consigliabile rivolgersi prontamente all’intermediario per cercare insieme una soluzione, come ad esempio il rifinanziamento totale o parziale del credito, l’estensione della durata del contratto oppure la rinegoziazione del mutuo.

Se hai contratto un mutuo puoi in qualunque momento trasferire il finanziamento presso un altro intermediario, senza alcuna spesa o penalità. È la cosiddetta portabilità o surroga che ti consente di estinguere il mutuo utilizzando la somma concessa da un nuovo intermediario e mantenendo l’ipoteca originaria. La somma verrà rimborsata alle condizioni concordate con il nuovo intermediario. Gli interessi pagati per un mutuo ipotecario per l’acquisto, la costruzione o la ristrutturazione dell’abitazione principale sono detraibili dall’Irpef.
 L’importo e le condizioni per la detrazione sono fissati dalla legge.

Riacquisto “prima casa”: in un anno deve diventare abitazione principale

Il contribuente, che vende l’immobile nei cinque anni successivi all’acquisto agevolato, è tenuto non solo a comprare un nuovo appartamento ma, altresì, ad adibirlo a propria abitazione principale

In caso di alienazione della “prima casa”, entro 5 anni dall’acquisto, il contribuente evita la decadenza dall’agevolazione fiscale soltanto se acquista, entro un anno dall’alienazione, un altro immobile e lo adibisce effettivamente a propria abitazione principale. 

In questo senso si è espressa, confermando il proprio orientamento, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 24457 dell’8 agosto 2022.

Prima di esaminare la vicenda concreta, è opportuno ricordare che l’agevolazione “prima casa” è disciplinata dalla nota II-bis dell’articolo 1 della Tariffa, parte prima, allegata al Testo unico dell’imposta di registro (Dpr n. 131/1986.

Come evidenziato nella motivazione della sentenza in commento, tale nota detta una diversa disciplina a seconda che si tratti:

    • di un “primo” acquisto della “prima casa” da parte del contribuente del “riacquisto” della “prima casa” che interviene dopo che il contribuente ha alienato, entro cinque anni dall’acquisto, l’abitazione per la quale aveva goduto delle agevolazioni fiscali.

In particolare, occorre distinguere le seguenti ipotesi:

  • il contribuente che, per la prima volta, acquista un’abitazione con le agevolazioni “prima casa” deve essere residente, al momento dell’acquisto, nel Comune in cui si trova l’immobile acquistato. 

In caso contrario, se non ricorrono alcune circostanze particolari indicate nella citata nota II-bis, il contribuente deve obbligarsi, nell’atto di compravendita, a trasferire la propria residenza in detto Comune, entro 18 mesi dall’acquisto. 

Come si può facilmente notare, in occasione del “primo acquisto”, ai fini del mantenimento della residenza, il legislatore non richiede che l’immobile sia utilizzato quale propria abitazione dal contribuente che lo acquista con i benefici fiscali. 

È sufficiente che il contribuente abbia o acquisisca entro 18 mesi la residenza nel Comune in cui si trova l’abitazione acquistata in forma agevolata. 

Pertanto, ad esempio, in presenza degli altri requisiti previsti dalla norma, il contribuente può avvalersi del beneficio fiscale anche nel caso in cui, subito dopo l’acquisto, concede in locazione l’abitazione. Allo stesso modo, le agevolazioni sono riconosciute anche in caso di acquisto di un’abitazione già locata

  • il contribuente che ha già goduto dell’agevolazione “prima casa” e aliena l’immobile prima del decorso di cinque anni dall’acquisto, decade dall’agevolazione stessa. 

Il comma 4 della richiamata nota II-bis prevede, però, che la decadenza è evitata nel caso in cui il contribuente, “entro un anno dall'alienazione dell'immobile acquistato con i benefici di cui al presente articolo, proceda all'acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale”. A differenza di quanto avviene per il “primo acquisto”, il contribuente che procede a un nuovo acquisto agevolato, al fine di evitare la decadenza dall’agevolazione per alienazione infraquinquennale, è tenuto non solo ad acquistare un nuovo appartamento ma, altresì, ad adibirlo a propria abitazione principale.

Questo aspetto, da ultimo evidenziato, è stato alla base della pronuncia della Corte di cassazione in esame.

Nel caso concreto il contribuente, dopo l’alienazione infraquinquennale dell’abitazione per la quale aveva goduto delle agevolazioni “prima casa” aveva riacquistato, entro un anno dall’alienazione, un altro fabbricato abitativo.

L’ufficio dell’Agenzia delle entrate, presso il quale era stato registrato il primo atto di acquisto agevolato, ha revocato le agevolazioni dopo aver constatato che l’immobile oggetto del riacquisto non era stato adibito ad abitazione principale del contribuente.

La notifica dell’avviso di liquidazione, avente a oggetto la revoca delle agevolazioni, è avvenuta a distanza di circa tre anni dalla data del riacquisto dell’abitazione.

Il contribuente ha ritenuto infondata la decadenza dalle agevolazioni fiscali in considerazione del fatto che, entro un anno dall’alienazione infraquinquennale, aveva comunque acquistato un’altra abitazione.

Sia la Ctp che la Ctr della Toscana (decisione n. 731 del 3 maggio 2019) hanno accolto la tesi del contribuente, anche in considerazione del fatto che la normativa in tema di riacquisto dell’abitazione, non indica espressamente un termine entro il quale il contribuente deve adibire l’immobile acquistato a propria abitazione principale, al fine di evitare la decadenza dall’agevolazione.

I giudici della Corte di cassazione, invece, hanno ritenuto legittima la revoca delle agevolazioni, evidenziando soprattutto che, al fine di evitare la decadenza per alienazione infraquinquennale, non è sufficiente procedere, entro un anno dall’alienazione, all’acquisto di altro fabbricato, ma è necessario che l’immobile oggetto del riacquisto sia effettivamente adibito ad abitazione principale del contribuente.

In merito al termine entro il quale il nuovo immobile deve essere adibito ad abitazione principale, è stato accolto il principio, sostenuto dall’amministrazione finanziaria, in base al quale la circostanza che detto termine non sia stato predeterminato dal legislatore, non vuol dire che il contribuente può rinviare all’infinito l’utilizzo del nuovo immobile quale abitazione principale, ma è necessario che tale utilizzo avvenga entro un termine ragionevole.

In particolare, è necessario che l’immobile sia adibito ad abitazione principale prima della scadenza del termine a disposizione dell’ufficio per l’esercizio dei controlli di propria competenza.

L’amministrazione finanziaria si era pronunciata in tal senso già con le risoluzioni nn. 192/2003 e 44/2004 e con la circolare n. 18/2013.

Nella motivazione la Corte di cassazione ha richiamato, in senso conforme le proprie pronunce nn. 17148/2018, 22488/2020 e 5353/2020 e la sentenza della Corte Costituzionale n. 46/2009.

Per i motivi sopra indicati è stata ritenuta legittima la revoca delle agevolazioni fiscali.

Residenza nella “prima casa” entro 18 mesi: un termine tassativo

25 Ottobre 2022

La dichiarazione con la quale, nell’atto di acquisto, ci si impegna a rispettare la condizione alla base dell’agevolazione, deve inderogabilmente concretizzarsi in un anno e mezzo
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Il contribuente che acquista, con le agevolazioni “prima casa”, un’abitazione situata in un Comune diverso da quello nel quale è residente, è tenuto a spostare la propria residenza nel Comune in cui si trova l’abitazione entro 18 mesi dall’acquisto. 
Si tratta di un termine perentorio, il cui mancato rispetto determina la decadenza dall’agevolazione “prima casa”. 
Questo principio è stato affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 26599 del 9 settembre 2022.

Al riguardo, premettiamo che l’agevolazione “prima casa” è disciplinata dalla nota II-bis dell’articolo 1 della Tariffa allegata al Testo Unico sull’imposta di registro (Dpr n. 131/1986).

La normativa stabilisce che, per usufruire dell’agevolazione, devono ricorrere determinati requisiti, sia soggettivi che oggettivi. Tra questi ultimi rientra il requisito inerente al luogo in cui deve essere situato l’immobile per il quale si usufruisce dell’agevolazione.

A parte alcuni criteri particolari (contribuente che svolge la propria attività nel luogo in cui si trova l’immobile acquistato, contribuente emigrato all’estero per lavoro, cittadino italiano iscritto all’Aire) il criterio generale, relativo al luogo in cui è situata l’abitazione agevolata, prevede che il contribuente sia residente, alla data di acquisto, nel Comune in cui si trova tale immobile. 

Qualora tale condizione non ricorre già al momento della stipula, il contribuente, per godere delle agevolazioni, deve obbligarsi, in atto, a trasferire in tale Comune la propria residenza entro 18 mesi.

In quest’ultimo caso, l’agevolazione viene concessa in sede di registrazione dell’atto. 

Successivamente, l’amministrazione finanziaria dovrà verificare che l’impegno assunto dal contribuente, in merito al cambio di residenza, sia stato effettivamente mantenuto.

Nel caso in esame, oggetto della sentenza n. 26599/2022, l’ufficio territoriale dell’Agenzia delle entrate, constatato il mancato rispetto dell’impegno del trasferimento della residenza entro 18 mesi dall’acquisto, aveva revocato le agevolazioni, sia relativamente all’imposta di registro, che per l’imposta sostitutiva sui finanziamenti, in relazione al mutuo che il contribuente aveva acceso al fine di procedere all’acquisto dell’abitazione.
  
In seguito al ricorso presentato dal contribuente, la Ctp di Milano ha annullato l’avviso relativo alla decadenza dalle agevolazioni, ritenendo che il termine di diciotto mesi previsto dalla norma sopra indicata fosse un termine meramente ordinatorio e non perentorio. 
Secondo la Ctp, in pratica, il contribuente mantiene le agevolazioni se trasferisce la residenza entro 3 anni dall’acquisto.

In sede di appello, invece, la Ctr della Lombardia (decisione n. 3477 del 13 settembre 2019) ha concordato con la tesi dell’ufficio, secondo la quale il termine di diciotto mesi è perentorio.

Quest’ultima tesi è stata condivisa anche dalla Corte di cassazione, la quale ha evidenziato che la dichiarazione con la quale un contribuente, nell’atto di acquisto della “prima casa”, si obbliga a trasferire la propria residenza entro diciotto mesi dall’acquisto, rappresenta solo una delle condizioni imposte al contribuente in tema di residenza. L’altra condizione è quella di procedere, effettivamente, al cambio di residenza entro diciotto mesi dall’acquisto.
 
In particolare i giudici hanno richiamato il proprio orientamento espresso con le ordinanze nn. 17629/2021 e 17867/2022, con le quali si era già affermato che  “…ai fini della fruizione dei benefici fiscali previsti per l'acquisto della prima casa, e in applicazione dell'art. 1,nota II bis, comma 1, lett. a), della Tariffa, Parte Prima, D.P.R. n. 131 del 1986, l'acquirente assume un vero e proprio obbligo verso il fisco con la dichiarazione di voler stabilire la propria residenza nel comune in cui è sito l'immobile, da adempiere nel termine perentorio, e non sollecitatorio, di diciotto mesi dalla stipula dell'atto, comportando il suo inadempimento la decadenza dal beneficio, anticipato al momento della registrazione”.

I giudici hanno respinto anche le ulteriori osservazioni del contribuente, relativamente ai seguenti aspetti:
secondo il contribuente, il termine per spostare la residenza nel Comune in cui si trova l’abitazione acquistata deve decorrere dalla data di registrazione dell’atto e non dalla data di stipula, in quanto l’elemento costitutivo del beneficio fiscale è rappresentato, appunto, dalla registrazione dell’atto e non dalla stipula. 

Tale osservazione non è stata accolta, in quanto la norma, in tema di residenza, prevede che 
“…l'immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l'acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall'acquisto la propria residenza”. 

Dal tenore letterale della norma è evidente che i diciotto mesi decorrono dalla data di acquisto dell’immobile, vale a dire dalla data di stipula dell’atto. Non rileva, invece, la data di registrazione
il contribuente, inoltre, ha fatto presente che il ritardo nel trasferimento della propria residenza era stato causato dalle sue precarie condizioni di salute. 
Pertanto, riteneva che fosse sussistente l’esimente relativa alla causa di forza maggiore. 
Anche questa eccezione è stata respinta dalla Cassazione, in considerazione del fatto che le precarie condizioni di salute del contribuente erano preesistenti rispetto all’acquisto dell’abitazione. 

Pertanto, non poteva essere invocata l’esimente della causa di forza maggiore.

Per effetto di queste considerazioni è stata ritenuta legittima la decadenza dalle agevolazioni “prima casa”, con conseguente recupero delle imposte nella misura ordinaria.

TRASFERIMENTO BONUS DEI MOBILI: in caso di vendita immobile, cosa dice il Fisco?



Il trasferimento del bonus mobili in caso di vendita immobile è possibile? 

Sul punto sono arrivate alcune interessanti precisazioni da parte del Fisco. 

Vediamo quanto spiegato.

A Fisco Oggi, la rubrica telematica dell'Agenzia delle Entrate, è stato domandato: "Ho venduto un immobile che avevo ristrutturato e per il quale stavo usufruendo sia della detrazione del 50% sia del bonus mobili ed elettrodomestici. Avendo ceduto le rate residue di detrazione per gli interventi di ristrutturazione, anche il bonus mobili passa automaticamente all'acquirente?".

Nel fornire i suoi chiarimenti, il Fisco ha spiegato che il bonus mobili non passa automaticamente all'acquirente e ha evidenziato che, rispetto a quanto accade per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, "in caso di cessione dell'immobile oggetto di ristrutturazione il bonus mobili ed elettrodomestici non si trasferisce all'acquirente".

Secondo quanto sottolineato, ciò accade anche quando con "la cessione dell'immobile vengano trasferite all'acquirente le restanti rate della detrazione delle spese di recupero del patrimonio edilizio". 

Chi continua dunque a usufruire delle quote di detrazione non ancora utilizzate relative al bonus mobili? A usufruire delle quote di detrazione non ancora utilizzate è il venditore dell'immobile e non l'acquirente.

Si ricorda che il bonus mobili è una detrazione Irpef del 50% di cui si può usufruire per l'acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici destinati ad arredare un immobile oggetto di interventi di recupero del patrimonio edilizio. L'agevolazione è stata prorogata dalla legge di Bilancio 2022 per le spese sostenute negli anni 2022, 2023 e 2024. Nello specifico, la detrazione del 50% deve essere calcolata su un importo massimo di 10.000 euro per l'anno 2022 e di 5.000 euro per gli anni 2023 e 2024 riferito, complessivamente, alle spese sostenute per l'acquisto di mobili e grandi elettrodomestici. 

Ho venduto un immobile che avevo ristrutturato e per il quale stavo usufruendo sia della detrazione del 50% sia del bonus mobili ed elettrodomestici. Avendo ceduto le rate residue di detrazione per gli interventi di ristrutturazione, anche il bonus mobili passa automaticamente all’acquirente?

 


La risposta è la seguente:

La risposta è negativa. 

Contrariamente a quanto accade per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, in caso di cessione dell’immobile oggetto di ristrutturazione il bonus mobili ed elettrodomestici non si trasferisce all’acquirente. Questo vale anche quando con la cessione dell’immobile vengano trasferite all’acquirente le restanti rate della detrazione delle spese di recupero del patrimonio edilizio. Chi vende l’immobile, pertanto, può continuare a usufruire delle quote di detrazione non ancora utilizzate, derivanti dall’acquisto dei mobili e degli elettrodomestici.

 

Come vendere casa con mutuo in corso? Tutto quello che devi sapere ?


È possibile che, dopo aver richiesto un mutuo per comprare casa, si scelga di cambiare abitazione e si abbia la necessità di mettere in vendita l’immobile. Scopriamo come vendere casa con mutuo in corso.

Il mutuo, si sa, è un prestito che ha una durata medio-lunga. Spesso, sono richiesti tanti anni per estinguerlo, specie quando viene attivato per l’acquisto di un immobile. È possibile che, durante questo lasso di tempo, le proprie abitudini di vita cambino e che sopraggiunga la necessità di lasciare l’abitazione per la quale il mutuo si era reso necessario. In questa situazione, coloro che scelgono di optare per la vendita dell’immobile sono numerosi. Vendere casa con mutuo in corso, però, è un argomento complesso perché richiede una conoscenza puntuale della materia affinché la procedura possa andare a buon fine. Scopriamo insieme tutto quello che c’è da sapere per vendere casa con un mutuo in corso.

Vendere casa con mutuo in corso: è possibile?

In fase di acquisto di un immobile si è resa necessaria l’attivazione di un finanziamento per sostenere la spesa, ma, a distanza di tempo, è sopraggiunta l’esigenza di cambiare casa con mutuo in corso e metterla in vendita? È possibile farlo, purché sussistano determinate condizioni. 
La presenza di un mutuo, infatti, non è vincolante: il proprietario non ha l’obbligo di rinunciare alla vendita della casa con mutuo.

Quando si stipula un finanziamento, l’accordo è con un istituto di credito, il quale non esercita alcun tipo di titolarità sull’immobile acquistato. Il proprietario dell’abitazione, infatti, ha la possibilità di vendere casa con mutuo in corso e, per farlo, non è tenuto ad ottenere alcun permesso dalla banca. Quello che, però, è chiamato a fare è gestire la pratica del finanziamento, ovvero provvedere al trasferimento o alla chiusura del mutuo. In questo caso, è l’istituto di credito a doversi pronunciare.

Come vendere casa con mutuo in corso e comprarne un'altra?

Vendere casa con mutuo in corso, soprattutto per chi non conosce la materia, può rivelarsi piuttosto complesso. Se, oltre a vendere l’immobile per il quale è stato precedentemente richiesto un finanziamento, si desidera comprare casa avendo già un mutuo, i fattori da valutare si moltiplicano. Il primo passo da compiere affinché la procedura possa andare a buon fine è sapere quali sono le strade percorribili in merito alla gestione del finanziamento. Nello specifico, le opzioni possibili sono le seguenti:
  • sostituzione di garanzia;
  • accollo al compratore;
  • estinzione anticipata del mutuo per vendita dell’immobile.

Vi è inoltre la possibilità di richiedere un mutuo ponte, una forma di finanziamento a breve termine che ha da poco preso piede anche in Italia. Per quanto siano tutte soluzioni valide, non è detto che sussistano i requisiti per accedervi. La possibilità di percorrere o meno una delle quattro strade suddette dipende dalla banca. L’istituto di credito, infatti, è chiamato a valutare attentamente la situazione finanziaria dell’intestatario del finanziamento, prima di dare il lasciapassare. Perché? Perché per vendere casa con mutuo e comprarne un’altra è indispensabile che il proprietario dell’immobile abbia a disposizione il conteggio dell’estinzione del mutuo per la vendita della casa. Più nello specifico, la banca mutuante, dopo aver attenzionato la condizione finanziaria del richiedente, rilascia una dichiarazione scritta, all’interno della quale vi è l’ammontare del debito residuo.

Sostituzione di garanzia

Quando si sceglie di attivare un mutuo per acquistare casa, l’istituto di credito al quale ci si rivolge, nella maggior parte dei casi, iscrive un’ipoteca sull’immobile, al fine di tutelarsi nel caso in cui le rate del finanziamento non venissero pagate. Se, infatti, il mutuatario non paga, la banca mutuante procede con il pignoramento dell’immobile, che verrà successivamente messo in vendita.

Se la propria intenzione è vendere casa con mutuo in corso e comprarne un’altra, la sostituzione di garanzia potrebbe rivelarsi la scelta migliore. In questo caso, l’ipoteca sull’abitazione che si intende vendere viene trasferita sul nuovo immobile. È bene specificare, però, che non sempre questa strada è percorribile. È possibile che, infatti, la propria banca non accetti di spostare l’ipoteca, ostacolando così la vendita della casa con mutuo con la garanzia di un altro immobile.

Accollo del debito

Un’altra opzione possibile quando si desidera comprare casa avendo già un mutuo è la vendita della casa con accollo del mutuo. Se si opta per questa soluzione, l’acquirente dell’immobile gravato dal finanziamento ha l’obbligo di pagare alla banca l’ammontare del debito residuo, fino alla naturale scadenza del mutuo. In altri termini, il nuovo acquirente si sostituisce al debitore originario.

L’accollo del mutuo senza consenso della banca e del nuovo acquirente non è possibile. L’operazione, infatti, può essere avviata solo previo consenso di entrambe le parti. Se l’istituto di credito e l’acquirente acconsentono all’accollo, colui che compra l’abitazione è chiamato non solo a provvedere al rimborso delle rate, ma anche a farsi carico delle spese relative al mantenimento del finanziamento.

Chi opta per la vendita della casa con accollo del mutuo è bene che sappia che esistono due tipologie di accollo: accollo liberatorio e accollo cumulativo. L’accollo cumulativo vincola il mutuatario originario a rimborsare le rate del finanziamento nel caso in cui il nuovo acquirente non riuscisse più a provvedere al pagamento. L’accollo liberatorio, invece, libera il venditore da qualsiasi obbligo nei confronti della banca.

Estinzione anticipata del mutuo per vendita dell’immobile

L’estinzione anticipata del mutuo per vendita dell’immobile è in assoluto la soluzione più diffusa tra chi sceglie di cambiare casa con mutuo e comprarne un’altra. Esistono due tipi di estinzione:

  • estinzione del mutuo per vendita casa prima del rogito: quando si è in possesso della somma necessaria per estinguere il finanziamento prima di effettuare il rogito sulla nuova casa, è possibile saldare il debito con l’istituto di credito, il quale provvede a rilasciare la cancellazione dell’ipoteca e la quietanza dell’estinzione;
  • estinzione del mutuo contestuale al rogito: in questo caso, l’estinzione del debito avviene utilizzando il denaro incassato in seguito alla vendita della casa gravata da mutuo, contestualmente al rogito. L’acquirente è tenuto a consegnare un assegno alla banca, la quale rilascia la quietanza dell’estinzione e provvede a cancellare l’ipoteca.
  • L’estinzione del mutuo per vendita casa è la soluzione a cui scelgono di ricorrere in molti perché è vantaggiosa tanto per l’istituto di credito quanto per il mutuatario/venditore. È naturale che, infatti, entrambe le parti abbiano il naturale interesse di chiudere il rapporto di finanziamento, senza vincolo alcuno.

Quando si può vendere una casa con mutuo?


Una delle domande su cui aleggiano più dubbi quando si desidera cambiare casa con mutuo in corso è dopo quanto tempo è possibile venderla. La risposta è che dipende dal fatto che l’immobile sia una prima casa oppure no. Se l’immobile è una seconda casa, è possibile venderla in qualsiasi momento. Se, invece, la propria intenzione è vendere la prima casa con mutuo e comprarne un’altra e l’immobile in questione è stato acquistato con il Bonus Prima Casa, la vendita non è consentita prima di 5 anni. 

L’alternativa è vendere la casa con mutuo dopo i 5 anni.

Esiste però un’eccezione: se, entro un anno dalla rivendita dell’immobile acquistato tramite agevolazione, il contribuente acquista, riceve o costruisce un immobile che possiede caratteristiche simili a quello venduto e lo utilizza come prima casa, può vendere casa con mutuo prima dei 5 anni. In questo caso, però, perde il diritto alle agevolazioni. L’Agenzia delle Entrate, effettuate le opportune verifiche, chiede al contribuente il pagamento delle somme non ancora versate e lo sottopone ad una sovrattassa del 30% sul totale delle imposte non corrisposte.

Come vendere una casa cointestata con mutuo?

Quando la titolarità dell’immobile su cui grava il mutuo e che si desidera vendere è cointestata, prima di avviare qualsiasi procedura è indispensabile il consenso delle parti coinvolte. Lo stesso discorso vale se ad essere cointestato è il mutuo che è stato attivato presso l’istituto di credito per acquistare l’immobile: vendere casa con mutuo cointestato è possibile previo consenso di entrambi gli intestatari del finanziamento.