L'acquisto CASA: come finanziarlo, come proteggerlo??

E' il momento di ... comprare Casa ...

continua ad essere un obiettivo di molti, anche se oggi esistono varie formule di affitto ad uso abitativo e addirittura la possibilità anche per i privati cittadini di sottoscrivere un leasing immobiliare, con agevolazioni fiscali significative per i giovani.

La maggior parte degli italiani sceglie di abitare in una casa di proprietà e non in affitto, perché vede nel "mattone" una tradizionale forma di impiego del proprio risparmio, almeno per l’abitazione di residenza.

Devi considerare che...

... prima di comprare una casa è importante valutare tutte le spese che questa scelta comporta, il denaro su cui puoi contare e quanto chiedere eventualmente in prestito, avendo presente quale è la rata massima di rimborso che puoi sostenere. Considera bene se e quale casa puoi permetterti di comperare. Queste sono le fondamenta su cui costruire tue scelte sull’abitazione.

Esistono variabili e opportunità che potresti non conoscere e non avere considerato per portare avanti il tuo progetto. Se hai necessità di richiedere un finanziamento, i mutui ipotecari sono le forme di finanziamento più diffuse ed economiche: si chiamano così perché prevedono l’accensione di un'ipoteca sull'immobile per il quale richiedi il prestito. In altre parole, a garanzia del pagamento - in caso di insolvenza - stai offrendo la casa stessa. Confronta tante offerte in modo da scegliere le condizioni più vantaggiose, ad esempio quelle con i tassi di interesse più bassi, e quelle più adatte alle tue esigenze.

Prima di accendere un finanziamento è importante valutare bene l'impegno che puoi sostenereovvero quanta parte di reddito puoi destinare al rimborso delle rate: non basarti solo sulle disponibilità e sulle esigenze presenti, perché nel tempo possono cambiare. Una buona regola è quella di impegnarsi ad una rata del mutuo che non superi un terzo delle entrate mensili (sommando insieme stipendio o altre possibili fonti di reddito), per non trovarti impreparato o in difficoltà in caso di spese impreviste o al verificarsi di problemi connessi al lavoro e/o alla salute. Se hai contratto già altri finanziamenti o hai rate da pagare per altri beni/servizi (es. per l'auto), ricordati di considerare, nel calcolo della rata mensile che puoi sostenere, anche tutti gli altri tuoi debiti: anche la banca ne terrà conto per decidere se e quanto concederti in prestito. In altre parole, valuterà il tuo "merito creditizio".

Ricorda anche che quando richiedi un mutuo per comprare casa, in genere la banca sarà disposta a finanziare solo una parte dell’importo: è quindi importante avere dei risparmi che ti consentano di pagare la quota di costo non coperta dal mutuo.
 
A seconda delle tue caratteristiche e della casa che intendi acquistare, puoi verificare se puoi accedere al Fondo Garanzia mutui prima casa. Grazie a questa misura di facilitazione nell’accesso al credito, lo Stato si fa garante per te nei confronti della banca a determinate condizioni.
 
Sappi, inoltre che, se sei iscritto ad un fondo pensione, puoi chiedere un anticipo del capitale accumulato (fino al 75 per cento) per comprare o ristrutturare casa, tua o dei tuoi figli. Per non ridurre il capitale di cui potrai disporre al momento del pensionamento, puoi reintegrare nel tempo in tutto o in parte la somma prelevata. Analogamente, è possibile chiedere al datore di lavoro un anticipo del TFR.

Scegli sapendo che... 

... è importante tenere a mente che, oltre alla somma necessaria per pagare l’immobile, dovrai essere in grado di sostenere anche altre spese connesse al comprare casa, spesso a carattere di una tantum: i costi di una eventuale ristrutturazione, dell’arredamento e del trasloco, nonché le spese notarili, assicurative, fiscali e di intermediazione oltre ai costi di natura bancaria.

Ricordati, inoltre, che nel tempo potrai rinegoziare un vecchio mutuo per ricercare sul mercato condizioni migliori.

Ogni strumento ha le sue caratteristiche... 

... puoi richiedere un mutuo per acquistare, costruire e/o ristrutturare una casa. Solitamente - ma possono esserci eccezioni - la banca concede un mutuo di importo non superiore all'80% del valore dell’immobile, valore stabilito in base alla perizia effettuata da un esperto della banca stessa.

I mutui sono diversi tra loro per durata del finanziamento (che di solito è compresa tra i 5 ed i 30 anni, ma in alcuni casi può essere prevista una durata superiore) e per la modalità di calcolo della rata. La rata può essere calcolata applicando un tasso di interesse fisso o variabile sul capitale dato in prestito, ma sono disponibili sul mercato anche formule miste o con tetto massimo all’ammontare della rata mensile (è possibile variando la durata del finanziamento).

Se stai pensando di richiedere un mutuo, il primo punto da cui partire è individuare la soglia massima di indebitamento mensile che ti è possibile sostenere dato il tuo stile di vita e le tue esigenze, ad esempio il pagamento di altre rate di debiti, ovvero l’ammontare massimo della rata.

Alcuni esempi, che non esauriscono le possibilità...

I mutui sono l’esempio più ricorrente. Per tutelare te stesso, i tuoi cari e la tua abitazione, insieme al mutuo, è possibile accendere una polizza assicurativa che ti permetta di far fronte al pagamento della rata in caso di imprevisti e che la banca deve accettare senza modificare le condizioni offerte. Ad esempio, una polizza assicurativa, come la polizza payment protection insurance (PPI), potrebbe aiutarvi a rimborsare il mutuo se, a causa di eventi personali sfavorevoli (morte, invalidità permanente, infortunio, malattia, perdita dell’impiego), non sei più in grado di farlo. Assicurarti in vista di una possibile difficoltà economica futura è una tua scelta. La sola assicurazione obbligatoria associata all'accensione di un mutuo è, invece, quella sui danni all'immobile per incendio e scoppio. La banca che eroga il mutuo non può comunque obbligarti ad aprire un conto corrente né a stipulare una polizza assicurativa sulla vita proposta dalla stessa banca. Esistono, inoltre, fondi pubblici di solidarietà che consentono una sospensione momentanea del pagamento delle rate del mutuo in caso di improvvisa difficoltà economica connessa alla morte di uno di titolari del mutuo, nel caso di perdita di lavoro o di malattie gravi.
 
Una casa può costituire anche un investimento: ad esempio per ottenere mensilmente una rendita dall'affitto. In questo caso, è importante conoscere anche gli aspetti fiscali, in quanto le imposte che gravano sull'acquisto e la proprietà di seconde o terze case sono maggiori di quelle relative all'abitazione principale.

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Mutuo ipotecario ipotecario. Che Cos'è ?

 

Che Cos'è ?

Il mutuo ipotecario è la principale forma di finanziamento a medio-lungo termine che le banche e altri intermediari finanziari concedono. È principalmente utilizzato per l’acquisto di immobili, in particolare la casa di abitazione ma può servire anche per costruire o ristrutturare un immobile e per sostituire o rifinanziare mutui già ottenuti per le stesse finalità. 

Si definisce ipotecario poiché il rimborso nei confronti della banca è garantito da un’ipoteca sul bene acquistato. 

Il mutuo ipotecario di solito ha una durata da 5 a 30 anni ed è la forma più diffusa di credito immobiliare.

Come funziona?

Ti dà la possibilità di ricevere l’intera somma in un’unica soluzione, che potrai rimborsare nel tempo, con rate di importo fisso o variabile, definite da un piano di ammortamento.

La rata è composta di una quota capitale, a titolo di restituzione del prestito, e di una quota interessi, calcolata in base al tasso, che può essere fisso o variabile. In questo secondo caso il tasso è determinato in base ai parametri fissati sui mercati monetari e finanziari ai quali l’intermediario aggiunge una maggiorazione detta spread. Esistono anche soluzioni ibride.

Oltre agli interessi, un mutuo ipotecario prevede alcune spese aggiuntive:

  • un’imposta pari al 2% dell’ammontare complessivo, o allo 0,25% nel caso di acquisto della “prima casa”, che viene trattenuta direttamente dalla banca;
  • le spese di istruttoria;
  • le spese di perizia, che possono essere richieste per la valutazione dell’immobile da ipotecare;
  • le spese notarili per il contratto di mutuo e l’iscrizione dell’ipoteca nei registri immobiliari;
  • il costo del premio di assicurazione;
  • la commissione annua di gestione della pratica;
  • le spese per l'incasso della rata.

Quali rischi può comportare?

Il mutuo è un impegno economico importante da sostenere nel tempo, perché incide sul reddito disponibile per vari anni. È necessario valutarne attentamente la sostenibilità, prima di farne richiesta e anche durante il periodo di pagamento delle rate.
Il rischio principale nei mutui a tasso variabile è un aumento dell’importo delle rate, che vanno dunque attentamente valutate.
Se si paga la rata in ritardo si aggiungono gli interessi di mora, che in genere comportano una maggiorazione percentuale rispetto al tasso pattuito per il finanziamento e decorrono dal giorno della scadenza fino al pagamento della rata.

Cosa devi sapere sulle rate?

A parità di importo del finanziamento e di tasso di interesse, più breve è la durata del mutuo, più alte sono le rate e più bassi gli interessi. Viceversa, più lunga sarà la durata, maggiore sarà l’importo dovuto per gli interessi: le rate, però, saranno più basse perché la restituzione dell’importo preso a prestito viene distribuito su un periodo più lungo. Nel mutuo a tasso variabile il tasso di interesse è legato a un indice finanziario di riferimento: l’ammontare della rata del mutuo può variare a seconda dell’andamento dell’indice. Al momento della stipula del contratto, il mutuo può essere segnalato in diversi sistemi informativi sul credito, tra i quali quello gestito dalla Banca d’Italia e denominato Centrale dei rischi.

In caso di ritardato pagamento (totale o parziale) di una rata per oltre 30 giorni verranno applicati gli interessi di mora, che si aggiungeranno alle somme già dovute. Nei casi più gravi, l’intermediario può ottenere lo scioglimento del contratto e puoi perdere il diritto di proprietà sull'immobile ipotecato.

Cos'altro c'è da sapere?

Il mutuo è uno strumento che necessita un’attenta pianificazione di medio-lungo termine. Per questo, è essenziale valutare se le proprie entrate siano sufficienti per pagare le rate: possono sempre accadere imprevisti che richiedono nuove uscite (ad esempio spese mediche), oppure che comportano una diminuzione delle entrate (ad esempio la perdita del lavoro o la cassa integrazione). È in generale importante comprendere l’incidenza della rata sul reddito complessivo tuo e della tua famiglia. È ragionevole che la rata non superi un terzo del proprio reddito disponibile, per poter far fronte alle spese correnti, a quelle impreviste e a possibili riduzioni di reddito causate, ad esempio, da malattia, infortunio, licenziamento.

Se scegli un mutuo a tasso variabile, dovrai considerare la possibilità di un aumento del tasso, che potrebbe incidere notevolmente sulla rata, rendendola troppo onerosa. Per decidere tra tasso fisso e tasso variabile devi considerare anche la tua propensione al rischio.

Prima di ogni richiesta di mutuo o finanziamento, considera sempre con attenzione l’incidenza della rata sul tuo reddito disponibile, anche alla luce di altri prestiti, per evitare di trovarti in situazione di sovraindebitamento. Informati sulle diverse offerte leggendo i fogli contenenti le Informazioni generali o consultando motori di ricerca che offrono guide e confronti tra i vari mutui presenti sul mercato, prestando attenzione al TAEG, il Tasso Annuo Effettivo Globale, che indica il costo totale del prestito e che deve essere pubblicato per legge da tutti gli intermediari sul Foglio delle Informazioni Generali. Dopo aver acquisito le informazioni sulle tue esigenze, sulla tua situazione finanziaria e sulle tue preferenze, l’intermediario deve fornirti gratuitamente il modulo c.d. PIES (Prospetto Informativo Europeo Standardizzato), contenente le informazioni personalizzate necessarie per consentire un confronto tra le diverse offerte di credito sul mercato.

Prima della conclusione del contratto di credito hai diritto a un periodo di riflessione di almeno 7 giorni per poter confrontare diverse offerte, valutarne le implicazioni e prendere una decisione informata. I 7 giorni decorrono da quando ricevi l’offerta vincolante da parte dell’intermediario. Durante questo periodo l’offerta è vincolante per il finanziatore e puoi accettarla in qualsiasi momento. L’offerta è accompagnata dal PIES, se quest’ultimo non ti è stato fornito in precedenza o se le caratteristiche dell’offerta sono diverse dalle informazioni contenute nel PIES precedentemente fornito.

Se non riesci a pagare sempre e con puntualità le rate del mutuo o se diventano troppo elevate rispetto alla tua disponibilità, è consigliabile rivolgersi prontamente all’intermediario per cercare insieme una soluzione, come ad esempio il rifinanziamento totale o parziale del credito, l’estensione della durata del contratto oppure la rinegoziazione del mutuo.

Se hai contratto un mutuo puoi in qualunque momento trasferire il finanziamento presso un altro intermediario, senza alcuna spesa o penalità. È la cosiddetta portabilità o surroga che ti consente di estinguere il mutuo utilizzando la somma concessa da un nuovo intermediario e mantenendo l’ipoteca originaria. La somma verrà rimborsata alle condizioni concordate con il nuovo intermediario. Gli interessi pagati per un mutuo ipotecario per l’acquisto, la costruzione o la ristrutturazione dell’abitazione principale sono detraibili dall’Irpef.
 L’importo e le condizioni per la detrazione sono fissati dalla legge.

Riacquisto “prima casa”: in un anno deve diventare abitazione principale

Il contribuente, che vende l’immobile nei cinque anni successivi all’acquisto agevolato, è tenuto non solo a comprare un nuovo appartamento ma, altresì, ad adibirlo a propria abitazione principale

In caso di alienazione della “prima casa”, entro 5 anni dall’acquisto, il contribuente evita la decadenza dall’agevolazione fiscale soltanto se acquista, entro un anno dall’alienazione, un altro immobile e lo adibisce effettivamente a propria abitazione principale. 

In questo senso si è espressa, confermando il proprio orientamento, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 24457 dell’8 agosto 2022.

Prima di esaminare la vicenda concreta, è opportuno ricordare che l’agevolazione “prima casa” è disciplinata dalla nota II-bis dell’articolo 1 della Tariffa, parte prima, allegata al Testo unico dell’imposta di registro (Dpr n. 131/1986.

Come evidenziato nella motivazione della sentenza in commento, tale nota detta una diversa disciplina a seconda che si tratti:

    • di un “primo” acquisto della “prima casa” da parte del contribuente del “riacquisto” della “prima casa” che interviene dopo che il contribuente ha alienato, entro cinque anni dall’acquisto, l’abitazione per la quale aveva goduto delle agevolazioni fiscali.

In particolare, occorre distinguere le seguenti ipotesi:

  • il contribuente che, per la prima volta, acquista un’abitazione con le agevolazioni “prima casa” deve essere residente, al momento dell’acquisto, nel Comune in cui si trova l’immobile acquistato. 

In caso contrario, se non ricorrono alcune circostanze particolari indicate nella citata nota II-bis, il contribuente deve obbligarsi, nell’atto di compravendita, a trasferire la propria residenza in detto Comune, entro 18 mesi dall’acquisto. 

Come si può facilmente notare, in occasione del “primo acquisto”, ai fini del mantenimento della residenza, il legislatore non richiede che l’immobile sia utilizzato quale propria abitazione dal contribuente che lo acquista con i benefici fiscali. 

È sufficiente che il contribuente abbia o acquisisca entro 18 mesi la residenza nel Comune in cui si trova l’abitazione acquistata in forma agevolata. 

Pertanto, ad esempio, in presenza degli altri requisiti previsti dalla norma, il contribuente può avvalersi del beneficio fiscale anche nel caso in cui, subito dopo l’acquisto, concede in locazione l’abitazione. Allo stesso modo, le agevolazioni sono riconosciute anche in caso di acquisto di un’abitazione già locata

  • il contribuente che ha già goduto dell’agevolazione “prima casa” e aliena l’immobile prima del decorso di cinque anni dall’acquisto, decade dall’agevolazione stessa. 

Il comma 4 della richiamata nota II-bis prevede, però, che la decadenza è evitata nel caso in cui il contribuente, “entro un anno dall'alienazione dell'immobile acquistato con i benefici di cui al presente articolo, proceda all'acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale”. A differenza di quanto avviene per il “primo acquisto”, il contribuente che procede a un nuovo acquisto agevolato, al fine di evitare la decadenza dall’agevolazione per alienazione infraquinquennale, è tenuto non solo ad acquistare un nuovo appartamento ma, altresì, ad adibirlo a propria abitazione principale.

Questo aspetto, da ultimo evidenziato, è stato alla base della pronuncia della Corte di cassazione in esame.

Nel caso concreto il contribuente, dopo l’alienazione infraquinquennale dell’abitazione per la quale aveva goduto delle agevolazioni “prima casa” aveva riacquistato, entro un anno dall’alienazione, un altro fabbricato abitativo.

L’ufficio dell’Agenzia delle entrate, presso il quale era stato registrato il primo atto di acquisto agevolato, ha revocato le agevolazioni dopo aver constatato che l’immobile oggetto del riacquisto non era stato adibito ad abitazione principale del contribuente.

La notifica dell’avviso di liquidazione, avente a oggetto la revoca delle agevolazioni, è avvenuta a distanza di circa tre anni dalla data del riacquisto dell’abitazione.

Il contribuente ha ritenuto infondata la decadenza dalle agevolazioni fiscali in considerazione del fatto che, entro un anno dall’alienazione infraquinquennale, aveva comunque acquistato un’altra abitazione.

Sia la Ctp che la Ctr della Toscana (decisione n. 731 del 3 maggio 2019) hanno accolto la tesi del contribuente, anche in considerazione del fatto che la normativa in tema di riacquisto dell’abitazione, non indica espressamente un termine entro il quale il contribuente deve adibire l’immobile acquistato a propria abitazione principale, al fine di evitare la decadenza dall’agevolazione.

I giudici della Corte di cassazione, invece, hanno ritenuto legittima la revoca delle agevolazioni, evidenziando soprattutto che, al fine di evitare la decadenza per alienazione infraquinquennale, non è sufficiente procedere, entro un anno dall’alienazione, all’acquisto di altro fabbricato, ma è necessario che l’immobile oggetto del riacquisto sia effettivamente adibito ad abitazione principale del contribuente.

In merito al termine entro il quale il nuovo immobile deve essere adibito ad abitazione principale, è stato accolto il principio, sostenuto dall’amministrazione finanziaria, in base al quale la circostanza che detto termine non sia stato predeterminato dal legislatore, non vuol dire che il contribuente può rinviare all’infinito l’utilizzo del nuovo immobile quale abitazione principale, ma è necessario che tale utilizzo avvenga entro un termine ragionevole.

In particolare, è necessario che l’immobile sia adibito ad abitazione principale prima della scadenza del termine a disposizione dell’ufficio per l’esercizio dei controlli di propria competenza.

L’amministrazione finanziaria si era pronunciata in tal senso già con le risoluzioni nn. 192/2003 e 44/2004 e con la circolare n. 18/2013.

Nella motivazione la Corte di cassazione ha richiamato, in senso conforme le proprie pronunce nn. 17148/2018, 22488/2020 e 5353/2020 e la sentenza della Corte Costituzionale n. 46/2009.

Per i motivi sopra indicati è stata ritenuta legittima la revoca delle agevolazioni fiscali.

Residenza nella “prima casa” entro 18 mesi: un termine tassativo

25 Ottobre 2022

La dichiarazione con la quale, nell’atto di acquisto, ci si impegna a rispettare la condizione alla base dell’agevolazione, deve inderogabilmente concretizzarsi in un anno e mezzo
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Il contribuente che acquista, con le agevolazioni “prima casa”, un’abitazione situata in un Comune diverso da quello nel quale è residente, è tenuto a spostare la propria residenza nel Comune in cui si trova l’abitazione entro 18 mesi dall’acquisto. 
Si tratta di un termine perentorio, il cui mancato rispetto determina la decadenza dall’agevolazione “prima casa”. 
Questo principio è stato affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 26599 del 9 settembre 2022.

Al riguardo, premettiamo che l’agevolazione “prima casa” è disciplinata dalla nota II-bis dell’articolo 1 della Tariffa allegata al Testo Unico sull’imposta di registro (Dpr n. 131/1986).

La normativa stabilisce che, per usufruire dell’agevolazione, devono ricorrere determinati requisiti, sia soggettivi che oggettivi. Tra questi ultimi rientra il requisito inerente al luogo in cui deve essere situato l’immobile per il quale si usufruisce dell’agevolazione.

A parte alcuni criteri particolari (contribuente che svolge la propria attività nel luogo in cui si trova l’immobile acquistato, contribuente emigrato all’estero per lavoro, cittadino italiano iscritto all’Aire) il criterio generale, relativo al luogo in cui è situata l’abitazione agevolata, prevede che il contribuente sia residente, alla data di acquisto, nel Comune in cui si trova tale immobile. 

Qualora tale condizione non ricorre già al momento della stipula, il contribuente, per godere delle agevolazioni, deve obbligarsi, in atto, a trasferire in tale Comune la propria residenza entro 18 mesi.

In quest’ultimo caso, l’agevolazione viene concessa in sede di registrazione dell’atto. 

Successivamente, l’amministrazione finanziaria dovrà verificare che l’impegno assunto dal contribuente, in merito al cambio di residenza, sia stato effettivamente mantenuto.

Nel caso in esame, oggetto della sentenza n. 26599/2022, l’ufficio territoriale dell’Agenzia delle entrate, constatato il mancato rispetto dell’impegno del trasferimento della residenza entro 18 mesi dall’acquisto, aveva revocato le agevolazioni, sia relativamente all’imposta di registro, che per l’imposta sostitutiva sui finanziamenti, in relazione al mutuo che il contribuente aveva acceso al fine di procedere all’acquisto dell’abitazione.
  
In seguito al ricorso presentato dal contribuente, la Ctp di Milano ha annullato l’avviso relativo alla decadenza dalle agevolazioni, ritenendo che il termine di diciotto mesi previsto dalla norma sopra indicata fosse un termine meramente ordinatorio e non perentorio. 
Secondo la Ctp, in pratica, il contribuente mantiene le agevolazioni se trasferisce la residenza entro 3 anni dall’acquisto.

In sede di appello, invece, la Ctr della Lombardia (decisione n. 3477 del 13 settembre 2019) ha concordato con la tesi dell’ufficio, secondo la quale il termine di diciotto mesi è perentorio.

Quest’ultima tesi è stata condivisa anche dalla Corte di cassazione, la quale ha evidenziato che la dichiarazione con la quale un contribuente, nell’atto di acquisto della “prima casa”, si obbliga a trasferire la propria residenza entro diciotto mesi dall’acquisto, rappresenta solo una delle condizioni imposte al contribuente in tema di residenza. L’altra condizione è quella di procedere, effettivamente, al cambio di residenza entro diciotto mesi dall’acquisto.
 
In particolare i giudici hanno richiamato il proprio orientamento espresso con le ordinanze nn. 17629/2021 e 17867/2022, con le quali si era già affermato che  “…ai fini della fruizione dei benefici fiscali previsti per l'acquisto della prima casa, e in applicazione dell'art. 1,nota II bis, comma 1, lett. a), della Tariffa, Parte Prima, D.P.R. n. 131 del 1986, l'acquirente assume un vero e proprio obbligo verso il fisco con la dichiarazione di voler stabilire la propria residenza nel comune in cui è sito l'immobile, da adempiere nel termine perentorio, e non sollecitatorio, di diciotto mesi dalla stipula dell'atto, comportando il suo inadempimento la decadenza dal beneficio, anticipato al momento della registrazione”.

I giudici hanno respinto anche le ulteriori osservazioni del contribuente, relativamente ai seguenti aspetti:
secondo il contribuente, il termine per spostare la residenza nel Comune in cui si trova l’abitazione acquistata deve decorrere dalla data di registrazione dell’atto e non dalla data di stipula, in quanto l’elemento costitutivo del beneficio fiscale è rappresentato, appunto, dalla registrazione dell’atto e non dalla stipula. 

Tale osservazione non è stata accolta, in quanto la norma, in tema di residenza, prevede che 
“…l'immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l'acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall'acquisto la propria residenza”. 

Dal tenore letterale della norma è evidente che i diciotto mesi decorrono dalla data di acquisto dell’immobile, vale a dire dalla data di stipula dell’atto. Non rileva, invece, la data di registrazione
il contribuente, inoltre, ha fatto presente che il ritardo nel trasferimento della propria residenza era stato causato dalle sue precarie condizioni di salute. 
Pertanto, riteneva che fosse sussistente l’esimente relativa alla causa di forza maggiore. 
Anche questa eccezione è stata respinta dalla Cassazione, in considerazione del fatto che le precarie condizioni di salute del contribuente erano preesistenti rispetto all’acquisto dell’abitazione. 

Pertanto, non poteva essere invocata l’esimente della causa di forza maggiore.

Per effetto di queste considerazioni è stata ritenuta legittima la decadenza dalle agevolazioni “prima casa”, con conseguente recupero delle imposte nella misura ordinaria.

TRASFERIMENTO BONUS DEI MOBILI: in caso di vendita immobile, cosa dice il Fisco?



Il trasferimento del bonus mobili in caso di vendita immobile è possibile? 

Sul punto sono arrivate alcune interessanti precisazioni da parte del Fisco. 

Vediamo quanto spiegato.

A Fisco Oggi, la rubrica telematica dell'Agenzia delle Entrate, è stato domandato: "Ho venduto un immobile che avevo ristrutturato e per il quale stavo usufruendo sia della detrazione del 50% sia del bonus mobili ed elettrodomestici. Avendo ceduto le rate residue di detrazione per gli interventi di ristrutturazione, anche il bonus mobili passa automaticamente all'acquirente?".

Nel fornire i suoi chiarimenti, il Fisco ha spiegato che il bonus mobili non passa automaticamente all'acquirente e ha evidenziato che, rispetto a quanto accade per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, "in caso di cessione dell'immobile oggetto di ristrutturazione il bonus mobili ed elettrodomestici non si trasferisce all'acquirente".

Secondo quanto sottolineato, ciò accade anche quando con "la cessione dell'immobile vengano trasferite all'acquirente le restanti rate della detrazione delle spese di recupero del patrimonio edilizio". 

Chi continua dunque a usufruire delle quote di detrazione non ancora utilizzate relative al bonus mobili? A usufruire delle quote di detrazione non ancora utilizzate è il venditore dell'immobile e non l'acquirente.

Si ricorda che il bonus mobili è una detrazione Irpef del 50% di cui si può usufruire per l'acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici destinati ad arredare un immobile oggetto di interventi di recupero del patrimonio edilizio. L'agevolazione è stata prorogata dalla legge di Bilancio 2022 per le spese sostenute negli anni 2022, 2023 e 2024. Nello specifico, la detrazione del 50% deve essere calcolata su un importo massimo di 10.000 euro per l'anno 2022 e di 5.000 euro per gli anni 2023 e 2024 riferito, complessivamente, alle spese sostenute per l'acquisto di mobili e grandi elettrodomestici. 

Ho venduto un immobile che avevo ristrutturato e per il quale stavo usufruendo sia della detrazione del 50% sia del bonus mobili ed elettrodomestici. Avendo ceduto le rate residue di detrazione per gli interventi di ristrutturazione, anche il bonus mobili passa automaticamente all’acquirente?

 


La risposta è la seguente:

La risposta è negativa. 

Contrariamente a quanto accade per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, in caso di cessione dell’immobile oggetto di ristrutturazione il bonus mobili ed elettrodomestici non si trasferisce all’acquirente. Questo vale anche quando con la cessione dell’immobile vengano trasferite all’acquirente le restanti rate della detrazione delle spese di recupero del patrimonio edilizio. Chi vende l’immobile, pertanto, può continuare a usufruire delle quote di detrazione non ancora utilizzate, derivanti dall’acquisto dei mobili e degli elettrodomestici.

 

Come vendere casa con mutuo in corso? Tutto quello che devi sapere ?


È possibile che, dopo aver richiesto un mutuo per comprare casa, si scelga di cambiare abitazione e si abbia la necessità di mettere in vendita l’immobile. Scopriamo come vendere casa con mutuo in corso.

Il mutuo, si sa, è un prestito che ha una durata medio-lunga. Spesso, sono richiesti tanti anni per estinguerlo, specie quando viene attivato per l’acquisto di un immobile. È possibile che, durante questo lasso di tempo, le proprie abitudini di vita cambino e che sopraggiunga la necessità di lasciare l’abitazione per la quale il mutuo si era reso necessario. In questa situazione, coloro che scelgono di optare per la vendita dell’immobile sono numerosi. Vendere casa con mutuo in corso, però, è un argomento complesso perché richiede una conoscenza puntuale della materia affinché la procedura possa andare a buon fine. Scopriamo insieme tutto quello che c’è da sapere per vendere casa con un mutuo in corso.

Vendere casa con mutuo in corso: è possibile?

In fase di acquisto di un immobile si è resa necessaria l’attivazione di un finanziamento per sostenere la spesa, ma, a distanza di tempo, è sopraggiunta l’esigenza di cambiare casa con mutuo in corso e metterla in vendita? È possibile farlo, purché sussistano determinate condizioni. 
La presenza di un mutuo, infatti, non è vincolante: il proprietario non ha l’obbligo di rinunciare alla vendita della casa con mutuo.

Quando si stipula un finanziamento, l’accordo è con un istituto di credito, il quale non esercita alcun tipo di titolarità sull’immobile acquistato. Il proprietario dell’abitazione, infatti, ha la possibilità di vendere casa con mutuo in corso e, per farlo, non è tenuto ad ottenere alcun permesso dalla banca. Quello che, però, è chiamato a fare è gestire la pratica del finanziamento, ovvero provvedere al trasferimento o alla chiusura del mutuo. In questo caso, è l’istituto di credito a doversi pronunciare.

Come vendere casa con mutuo in corso e comprarne un'altra?

Vendere casa con mutuo in corso, soprattutto per chi non conosce la materia, può rivelarsi piuttosto complesso. Se, oltre a vendere l’immobile per il quale è stato precedentemente richiesto un finanziamento, si desidera comprare casa avendo già un mutuo, i fattori da valutare si moltiplicano. Il primo passo da compiere affinché la procedura possa andare a buon fine è sapere quali sono le strade percorribili in merito alla gestione del finanziamento. Nello specifico, le opzioni possibili sono le seguenti:
  • sostituzione di garanzia;
  • accollo al compratore;
  • estinzione anticipata del mutuo per vendita dell’immobile.

Vi è inoltre la possibilità di richiedere un mutuo ponte, una forma di finanziamento a breve termine che ha da poco preso piede anche in Italia. Per quanto siano tutte soluzioni valide, non è detto che sussistano i requisiti per accedervi. La possibilità di percorrere o meno una delle quattro strade suddette dipende dalla banca. L’istituto di credito, infatti, è chiamato a valutare attentamente la situazione finanziaria dell’intestatario del finanziamento, prima di dare il lasciapassare. Perché? Perché per vendere casa con mutuo e comprarne un’altra è indispensabile che il proprietario dell’immobile abbia a disposizione il conteggio dell’estinzione del mutuo per la vendita della casa. Più nello specifico, la banca mutuante, dopo aver attenzionato la condizione finanziaria del richiedente, rilascia una dichiarazione scritta, all’interno della quale vi è l’ammontare del debito residuo.

Sostituzione di garanzia

Quando si sceglie di attivare un mutuo per acquistare casa, l’istituto di credito al quale ci si rivolge, nella maggior parte dei casi, iscrive un’ipoteca sull’immobile, al fine di tutelarsi nel caso in cui le rate del finanziamento non venissero pagate. Se, infatti, il mutuatario non paga, la banca mutuante procede con il pignoramento dell’immobile, che verrà successivamente messo in vendita.

Se la propria intenzione è vendere casa con mutuo in corso e comprarne un’altra, la sostituzione di garanzia potrebbe rivelarsi la scelta migliore. In questo caso, l’ipoteca sull’abitazione che si intende vendere viene trasferita sul nuovo immobile. È bene specificare, però, che non sempre questa strada è percorribile. È possibile che, infatti, la propria banca non accetti di spostare l’ipoteca, ostacolando così la vendita della casa con mutuo con la garanzia di un altro immobile.

Accollo del debito

Un’altra opzione possibile quando si desidera comprare casa avendo già un mutuo è la vendita della casa con accollo del mutuo. Se si opta per questa soluzione, l’acquirente dell’immobile gravato dal finanziamento ha l’obbligo di pagare alla banca l’ammontare del debito residuo, fino alla naturale scadenza del mutuo. In altri termini, il nuovo acquirente si sostituisce al debitore originario.

L’accollo del mutuo senza consenso della banca e del nuovo acquirente non è possibile. L’operazione, infatti, può essere avviata solo previo consenso di entrambe le parti. Se l’istituto di credito e l’acquirente acconsentono all’accollo, colui che compra l’abitazione è chiamato non solo a provvedere al rimborso delle rate, ma anche a farsi carico delle spese relative al mantenimento del finanziamento.

Chi opta per la vendita della casa con accollo del mutuo è bene che sappia che esistono due tipologie di accollo: accollo liberatorio e accollo cumulativo. L’accollo cumulativo vincola il mutuatario originario a rimborsare le rate del finanziamento nel caso in cui il nuovo acquirente non riuscisse più a provvedere al pagamento. L’accollo liberatorio, invece, libera il venditore da qualsiasi obbligo nei confronti della banca.

Estinzione anticipata del mutuo per vendita dell’immobile

L’estinzione anticipata del mutuo per vendita dell’immobile è in assoluto la soluzione più diffusa tra chi sceglie di cambiare casa con mutuo e comprarne un’altra. Esistono due tipi di estinzione:

  • estinzione del mutuo per vendita casa prima del rogito: quando si è in possesso della somma necessaria per estinguere il finanziamento prima di effettuare il rogito sulla nuova casa, è possibile saldare il debito con l’istituto di credito, il quale provvede a rilasciare la cancellazione dell’ipoteca e la quietanza dell’estinzione;
  • estinzione del mutuo contestuale al rogito: in questo caso, l’estinzione del debito avviene utilizzando il denaro incassato in seguito alla vendita della casa gravata da mutuo, contestualmente al rogito. L’acquirente è tenuto a consegnare un assegno alla banca, la quale rilascia la quietanza dell’estinzione e provvede a cancellare l’ipoteca.
  • L’estinzione del mutuo per vendita casa è la soluzione a cui scelgono di ricorrere in molti perché è vantaggiosa tanto per l’istituto di credito quanto per il mutuatario/venditore. È naturale che, infatti, entrambe le parti abbiano il naturale interesse di chiudere il rapporto di finanziamento, senza vincolo alcuno.

Quando si può vendere una casa con mutuo?


Una delle domande su cui aleggiano più dubbi quando si desidera cambiare casa con mutuo in corso è dopo quanto tempo è possibile venderla. La risposta è che dipende dal fatto che l’immobile sia una prima casa oppure no. Se l’immobile è una seconda casa, è possibile venderla in qualsiasi momento. Se, invece, la propria intenzione è vendere la prima casa con mutuo e comprarne un’altra e l’immobile in questione è stato acquistato con il Bonus Prima Casa, la vendita non è consentita prima di 5 anni. 

L’alternativa è vendere la casa con mutuo dopo i 5 anni.

Esiste però un’eccezione: se, entro un anno dalla rivendita dell’immobile acquistato tramite agevolazione, il contribuente acquista, riceve o costruisce un immobile che possiede caratteristiche simili a quello venduto e lo utilizza come prima casa, può vendere casa con mutuo prima dei 5 anni. In questo caso, però, perde il diritto alle agevolazioni. L’Agenzia delle Entrate, effettuate le opportune verifiche, chiede al contribuente il pagamento delle somme non ancora versate e lo sottopone ad una sovrattassa del 30% sul totale delle imposte non corrisposte.

Come vendere una casa cointestata con mutuo?

Quando la titolarità dell’immobile su cui grava il mutuo e che si desidera vendere è cointestata, prima di avviare qualsiasi procedura è indispensabile il consenso delle parti coinvolte. Lo stesso discorso vale se ad essere cointestato è il mutuo che è stato attivato presso l’istituto di credito per acquistare l’immobile: vendere casa con mutuo cointestato è possibile previo consenso di entrambi gli intestatari del finanziamento.

Tasse per l'acquisto di una casa: l'imposta di registro e le altre tipologie

 Tasse per l'acquisto di una casa: 
l'imposta di registro e le altre tipologie


Quando si compra un immobile, tra le spese vanno considerate anche le tasse per l’acquisto di casa. L’acquirente, infatti, deve versare un’imposta di registro del 2% (se si tratta di prima casa), anziché del 9%, sul valore catastale dell’immobile, mentre l'imposta ipotecaria e l'imposta catastale si versano ognuna nella misura fissa di 50 euro (nel caso dell’acquisto della “prima casa”). Scopriamo tutto quello che c’è da sapere anche in caso di acquisto da privato, da società o di una seconda casa.

Quante e quali tasse si pagano per l'acquisto di una casa?

Per avere un quadro corretto e per effettuare il calcolo delle spese per le tasse dal notaio in caso di acquisto di casa, bisogna fare particolare attenzione a non dimenticare nulla. Complessivamente, le tasse per l’acquisto di una casa sono le seguenti:

Imposta di registro;

Iva;

Imposta catastale;

Imposta ipotecaria;

Imposta di bollo.

Tuttavia, per stabilire con esattezza quali siano le tasse per l’acquisto di casa dovute, è necessario analizzare se si tratti di acquisto prima casa o acquisto seconda casa e se si acquista da privato o da una società.

Imposta di registro e Iva

Le tasse per l’acquisto di una casa prevedono il versamento di un’imposta di registro pari al 9% del valore catastale dell’immobile (a cui si aggiungono l’imposta catastale e l’imposta ipotecaria, entrambe prevedono il pagamento di 50 euro ognuna). Tuttavia, in alcuni casi, anziché l’imposta di registro, si dovrà pagare l’Iva se l’impresa che ha costruito l’immobile ha terminato i lavori da meno di 5 anni.


Non solo, sarà dovuto il pagamento dell’Iva per l’acquisto di casa anche se l’immobile classificato come alloggio sociale (10% calcolato sul prezzo finale della proprietà). Anche in questi casi è previsto il versamento delle imposte catastale, ipotecaria e di registro per un totale di 600 euro.


Un’ulteriore casista è quella per la quale l’immobile acquistato sia considerato di lusso, in quel caso le tasse per l’acquisto di casa saranno 22% per quanto riguarda l’Iva. Ed è previsto il pagamento della tassa ipotecaria di 90 euro e dell’imposta di bollo di 230 euro.

Tasse acquisto prima casa



Le tasse per l’acquisto di una prima casa prevedono delle spese diverse, grazie alle cosiddette agevolazioni prima casa. Per poterne beneficiare è necessario rispettare determinati requisiti:

l’immobile che si acquista appartiene a determinate categorie catastali 

(A/2, A/3, A/4, A/5, A/6, A/7, A/11);

l’immobile si trova nel Comune in cui l’acquirente ha (o intende stabilire) la residenza o lavora;

l’acquirente non risulta a nessun titolo proprietario di altro immobile.

Tasse acquisto prima casa da privato

Le tasse per l’acquisto di una prima casa, se il venditore è un privato o un’impresa che vende in esenzione Iva, che vanno versate sono:

imposta di registro proporzionale nella misura del 2% (anziché del 9%);

imposta ipotecaria fissa di 50 euro;

imposta catastale fissa di 50 euro.

Tasse acquisto prima casa da società

Le tasse per l’acquisto di una prima casa, se il venditore è una società con vendita soggetta a Iva, che vanno versate sono:

Iva ridotta al 4%;

imposta di registro fissa di 200 euro;

imposta ipotecaria fissa di 200 euro;

imposta catastale fissa di 200 euro.

Tasse acquisto seconda casa


Superbonus 110, cosa cambierà con il governo Meloni?

Superbonus 110, cosa cambierà con il governo Meloni? 

Il superbonus 110 cambia ancora con il governo Meloni. Secondo le ultime notizie, nella legge di bilancio 2023 potrebbe trovare spazio una riduzione dell'aliquota di detrazione per i condomini, ma allo stesso tempo una proroga per le unifamiliari

Superbonus 110 Meloni ultime notizie
Superbonus nel 2023 cosa succederà?
Cosa entra nel superbonus 110?
Quando finisce il superbonus 110?

Superbonus 110 Meloni ultime notizie

Secondo le ultime notizie, il governo Meloni pensa di cambiare il superbonus 110. Ricordiamo che il 31 dicembre 2022 scatta la scadenza per la proroga del superbonus 110 per le villette unifamiliari. Mentre per i condomini è previsto un abbassamento dell'aliquota che scenderà al 70% dal 1º gennaio 2024 per poi arrivare al 65% nel 2025. 

Il superbonus 110 con il governo Meloni sarà "rivisitato" come annunciato dal neo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, in visita a Norcia. "Lo merita soprattutto per gli effetti negativi che ha prodotto su questo territorio, distogliendo una parte dell'imprenditoria dall'essere attratta a questo tipo di lavoro".

Secondo le anticipazioni del Sole24Ore, nella prossima legge di bilancio scenderà la percentuale di detrazione del superbonus 110 dal 110 al 90% con conseguente modificazione della platea. La maggioranza inoltre vorrebbe prorogare il superbonus 110 anche per le unifamiliari, la cui scadenza è prevista per il 31 dicembre 2022 (per chi entro il 30 settembre ha completato il 30% dei lavori)

Superbonus nel 2023 cosa succederà?

La riforma del governo Meloni per il 2023 potrebbe portare l'aliquota della detrazione al 90%, anche per i condomini, e riaprire l'agevolazione anche per le villette e le case unifamiliari, con la stessa percentuale, ma con requisiti più stringenti. 

I proprietari di villette e case unifamiliari potranno usare il superbonus 110 solo in caso di lavori eseguiti sulla prima casa e con un limite di reddito per l'accesso. La soglia di reddito potrebbe essere calcolata sulla base del "quoziente familiare" che si calcolerà dividendo il reddito familiare per il numero dei componenti, corretti per una scala di equivalenza. 

Sulla necessità di abbassare l'aliquota della detrazione si è espressa anche Bankitalia che nello studio "Costs and benefits of the green transition envisaged in the Italian NRRP: An evaluation using the Social Cost of Carbon" ha sottolineato il costo elevato per le casse statali del superbonus 110 e ha addirittura proposto un'aliquota al 40%

Una questione spinosa riguarda il meccanismo della cessione dei crediti, soprattutto per quanto riguarda la responsabilità. Le ultime sentenze infatti hanno ricordato infatti che il sequestro dei crediti falsi è leggittimo anche se i concessionari non hanno partecipato alla frode.

Cosa entra nel superbonus 110?

Il superbonus è una detrazione del 110% delle spese sostenute a partire dal 1º luglio 2022 per la realizzazione di interventi finalizzati all'efficientamento energetico e alla riduzione del rischio sismico degli edifici (il cosiddetto supersismabonus).

Il superbonus spetta per gli interventi cosiddetti principali o trainanti quali:

  • interventi di isolamento termico sugli involucri
  • sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale sulle parti comuni
  • sostituzione di impianti di climatizzazione invernale sugli edifici unifamiliari o sulle unità immobiliari di edifici plurifamiliari funzionalmente indipendenti
  • interventi antisismici.

Ma anche per tutta una serie di interventi trainati:


  • interventi di efficientamento energetico
  • installazione di impianti solari fotovoltaici e sistemi di accumulo
  • infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici
  • interventi di eliminazione delle barriere architettoniche (16-bis, lettera e del Tuir).

Quando finisce il superbonus 110?

La data di scadenza per il superbonus 110 è il 31 dicembre 2022 per le unità immobiliare delle persone fisiche, al di fuori dell'attività di impresa sempre e quando alla data del 31 settembre 2022 sia stato raggiunto il 30% dei lavori.

Per i condomini, le persone fisiche proprietarie di edifici composti da due a quattro unità immobiliari accatastate di forma diversa e per le organizzazione non lucrative di utilità sociale o le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale sono previste le seguenti scadenze:


110% per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023
70% per quelle sostenute nel 2024
65% per quelle sostenute nel 2025.

COMPRAVENDITA all' ASTA: Acquisto immobile all'asta con abusi edilizi, tutto quello che devi sapere !!

Acquisto immobile all'asta con abusi edilizi, tutto quello che devi sapere!!! 

Molti non sanno che a in tema di abusi edilizi c’è una notevole differenza tra l’acquisto in asta e l’acquisto sul libero mercato. Vediamo se in caso d'immobili con abusi edilizi è possibile la vendita all'asta, quali abusi sono sanabili e quando invece nascono dei problemi

Quali sono gli abusi edilizi non sanabili?
E’ obbligatorio sanare gli abusi edilizi ?
Quali sono gli abusi sanabili ?

Nel caso dell’asta Immobiliare il Tribunale, con decreto, trasferisce la proprietà dell’immobile all’aggiudicatario anche in presenza di abusi edilizi ovvero difformità (catastali, edilizie o urbanistiche), le quali saranno comunque segnalate e descritte puntualmente nella perizia (CTU) redatta dal perito nominato . E’ però importante sapere che l’immobile non sanabile può essere oggetto di vendita all’asta esclusivamente se la presenza degli abusi edilizi è segnalata nell’ordinanza o nell’avviso di vendita.

Infatti, in caso di mancata segnalazione di tali informazioni si sarebbe in presenza di una vendita per la quale non opera l’esclusione della garanzia per i vizi della cosa ex art. 2922, comma 2, c.c. In questo caso potranno essere applicate le regole proprie della nullità dell’atto e l’aggiudicatario potrà agire ai sensi dell’art. 1489 c.c. (cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi).

Nel caso del libero mercato invece non è possibile rogitare su immobili abusivi o che presentino degli abusi edilizi o non siano comunque correttamente accatastati per i più diversi motivi, anche con la buona fede del venditore. Le schede catastali infatti vengono allegate al rogito stesso e ne divengono parte integrante, il Notaio si accerterà della loro rispondenza alla realtà dei fatti chiedendo una specifica dichiarazione al venditore al riguardo. Quindi nel caso in cui l’immobile presenti difformità, grosse o piccole che siano, non sarà infatti possibile procedere con un rogito fino all’eventuale regolarizzazione dell’immobile stesso.

Quali sono gli abusi edilizi non sanabili?
Ma se gli abusi edilizi, sanabili o meno, potrebbero non essere un problema in sede d’asta, per ottenere il decreto di trasferimento dell’immobile, potrebbero essere invece un grosso problema in due casi:
Nel caso di acquisto in asta tramite Mutuo Ipotecario - In caso di Aggiudicazione in asta di un immobile infatti per richiedere il mutuo, oltre ai documenti convenzionalmente richiesti, occorrerà presentare anche la perizia del tribunale nella quale saranno indicati gli abusi edilizi e la loro tipologia. Nella maggior parte dei casi si tratta di difformità sanabili con il pagamento di una sanzione amministrativa (il cui importo cambia da Comune a Comune). In altri casi potrebbe essere necessario “il ripristino dei luoghi”, ovvero la demolizione degli interventi abusivi. La decisione circa la concessione del mutuo dipende sempre dalla valutazione effettuata dalla banca, che tiene conto del valore dell’immobile, della somma richiesta e dell’entità degli abusi. Generalmente la presenza di abusi (anche non sanabili) non è di per sé un impedimento alla concessione del mutuo ma la delibera rimane comunque ad appannaggio discrezionale degli istituti di Credito che hanno politiche di delibera molto differenti tra loro. Il rischio quindi di vedersi declinata la richiesta di finanziamento in caso di difformità è oggettivamente esistente.
Nel caso si intenda rivendere l’Immobile sul libero mercato - Preso atto del fatto che non sia possibile rogitare su immobili abusivi, che presentino degli abusi edilizi o non siano comunque correttamente accatastati, chi ha intenzione di rivendere ma ha acquistato casa all’asta con abusi può attivare una procedura di sanatoria, definita anche, erroneamente, “domanda di condono immobili all’asta", in base a quanto previsto dall’articolo 40, ultimo comma, della legge 47/85.
Nello specifico:
Entro 120 giorni dalla emissione del decreto di trasferimento l’aggiudicatario che si sia aggiudicato un immobile con abuso edilizio può depositare la domanda di concessione in sanatoria, in base alle norme dettate dal dl 23 aprile 1985, n. 16 che ha lasciato invariato tale termine.
In particolare, l’art. 40, comma 6, della legge n. 47/1985 prevede che, nel caso di immobile che sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda può essere presentata entro 120 giorni dall’atto di trasferimento dell’immobile.

Può sanare l’immobile nel caso in cui il credito che ha generato l’asta sia anteriore all’entrata in vigore della legge sul condono 47/85;

Ha la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria dev’essere valutata nella fase esecutiva del procedimento, successiva e autonoma rispetto all’ordine di demolizione (Sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 31 agosto 2018 n. 5128).

E’ obbligatorio sanare gli abusi edilizi ?
A questo punto sorge spontanea una domanda: è obbligatorio sanare abusi edilizi di un immobile acquistato con asta giudiziaria?
In realtà dipende. Se l’abuso non risulta sanabile, l’aggiudicatario ha l’obbligo di ripristinare lo stato dei luoghi e il costo necessario per effettuare tale attività viene decurtato dal prezzo di stima in sede di redazione della CTU. Se al contrario l’immobile si trova nelle condizioni necessarie per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, l’aggiudicatario deve procedere alla presentazione della relativa domanda.

L’aggiudicatario è quindi obbligato a presentare la richiesta di sanatoria nei seguenti casi:
per gli immobili costruiti senza licenza edilizia;
per gli immobili costruiti in difformità della stessa;
in presenza di autorizzazione annullata, decaduta, divenuta inefficace, ovvero per la quale sia pendente un procedimento di annullamento o di declaratoria di decadenza in sede giudiziaria o amministrativa in presenza di aree sottoposte a vincolo. In questo caso la concessione può essere rilasciata solo con l’autorizzazione delle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso.
Quali sono gli abusi sanabili ?
L’aggiudicatario deve presentare la richiesta di sanatoria nei seguenti casi di abusi sanabili: 
- per gli immobili costruiti in difformità della stessa, qualora vi sia conformità agli strumenti urbanistici;  
- qualora le ragioni del credito siano antecedenti all’entrata in vigore della ultima legge sul condono edilizio;
- qualora la demolizione della parte abusiva comprometta in maniera stabile e definitiva la staticità e/o l’agibilità della parte regolarmente assentita;
- per gli immobili costruiti senza licenza edilizia, qualora l’opera da sanare sia conforme agli strumenti urbanistici in vigore sia al tempo di commissione dell’abuso che al momento della presentazione della domanda;
- in presenza di autorizzazione annullata, decaduta, diventata inefficace, ovvero per la quale sia pendente un procedimento di annullamento o di declaratoria di decadenza in sede giudiziaria o amministrativa in presenza di aree sottoposte a vincolo. In tal caso la concessione può essere rilasciata solo con il parere favorevole da parte delle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso.

In presenza di richieste di condono illo tempore inoltrate in conformità alle disposizioni vigenti, ma per le quali l’amministrazione non si sia mai espressa (pur essendo stata versata l’oblazione, in tal caso occorre far dichiarare il silenzio assenso), o per le quali non sia mai stata versata l’oblazione (in tal caso si deve versare l’oblazione, con interessi e sanzioni, e la domanda retroagisce alla data di presentazione, sempre che lo strumento urbanistico vigente lo consenta);

In definitiva, acquistare immobili all’asta con difformità è sempre possibile, la cosa importante è farlo sempre con consapevolezza.

EREDITA': Che cos’è L' Accettazione tacita

Accettazione tacita eredità: tutto quello che devi sapere






L’accettazione di tacita eredità è un tema da conoscere a fondo quando viene meno un parente, soprattutto quando questo oltre a lasciare dei beni mobili e immobili potrebbe lasciare anche dei debiti. In questo caso l’erede ha la possibilità di accettare o meno l’eredità, in base a svariati elementi tra cui la convenienza economica.

Che cos’è l’accettazione tacita di eredità?

L’accettazione tacita dell’eredità è una delle alternative che si possono presentare quando un soggetto si trova a diventare erede di un patrimonio. A questa persona si prospettano due alternative, secondo quanto previsto dal Diritto Successorio:

  • accettazione espressa: in questo caso l’erede dichiara esplicitamente l’interesse ad accettare il proprio ruolo, beneficiando dei beni mobili e immobili donati, attraverso una scrittura privata o pubblica ma comunque debitamente registrata.
  • accettazione tacita: in questo caso è sufficiente esprimere la propria volontà nell’asse successorio ereditario, senza che venga stipulato nessun documento privato né pubblico. È opportuno ricordare che in questa eventualità la persona deve avere il pieno diritto di esercitare tale ruolo.

Quando si parla di accettazione tacita eredità la casistica contempla anche una terza alternativa, ossia l’accettazione beneficio di inventario: si tratta di una forma di tutela nei confronti degli eredi nel caso in cui siano presenti debiti o altre pendenze tributarie o fiscali.

Inoltre, è opportuno ricordare che l’accettazione tacita eredità con più eredi non prevede che tutti procedano nella stessa maniera: alcuni di essi possono accettare, mentre alti rifiutare o attendere l’inventario.

La dichiarazione di successione e accettazione tacita

Quando quindi un soggetto decide di procedere con la tacita accettazione dell'eredità è possibile procedere con la dichiarazione di successione che può includere chiaramente più eredi e tutti i soggetti coinvolti attraverso il testamento olografo.

D’altra parte, è opportuno ricorda che la dichiarazione di successivo e il conseguente pagamento delle imposte non sono tuttavia un modo certo e univoco per esprimere l’accettazione dell’eredità in quanto questi documenti hanno una mera valenza fiscale e non hanno alcun valore dal punto di vista civilistico (si ricorda che l’accettazione tacita viene regolamentata tata dall’art 476 del Codice Civile).

La trascrizione dell'accettazione tacita di eredità

Affinché l’accettazione tacita di eredità sia valida è quindi necessario rivolgersi ad un notaio che può predisporre la documentazione ad hoc che prende il nome di trascrizione dell’accettazione tacita dell’eredità e può essere sottoscritto entro 20 anni dalla morte del defunto, sebbene sia preferibile procedere con tempestività. Secondo la Legge italiana, la trascrizione di accettazione tacita eredità senza notaio non è possibile e non ha validità. Analogamente, la trascrizione di tacita eredità dopo 20 anni è comunque obbligatoria.

Quanto costa l’accettazione tacita di eredità?

costi da sostenere per la dichiarazione dell’accettazione di tacita eredità possono variare dai 300€ ai 500€. Inoltre, bisogna aggiungere la parcella del notaio che si occupa della produzione della documentazione e della registrazione del documento. Il costo del notaio per l’accettazione tacita di eredità si aggira intorno ai 1.800€. Qualora si voglia procedere con un'accettazione ma con beneficio di inventario il costo può aumentare in modo significativo.

Accettazione tacita di eredità per vendita dell'immobile

Un risvolto interessante e frequente da considerare quando si parla di accettazione di tacita eredità riguarda la vendita di immobili. Accade spesso infatti che il defunto fosse in possesso di uno o più immobili che gli eredi non vogliono mantenere per svariate ragioni, tra cui la sostenibilità economica. Per quanto, infatti, si possa essere legati alla dimora dei genitori o del parente scomparso, nella maggior parte dei casi è difficile che gli eredi decidano di tenere l’immobile, a meno che non adibiscano ad affitto o a fissa dimora.

Pertanto, l’accettazione tacita dell’eredità per la vendita immobiliare diventa un aspetto da non trascurare: è necessario quindi predisporre la documentazione necessaria in modo tale che, secondo gli accordi di vendita, si possa procedere prima con l’atto di vendita e poi con l’incasso della somma conseguente.

È opportuno ricordare che non è possibile procedere con l’atto di vendita di un immobile se manca la trascrizione dell’accettazione tacita eredità: è quindi nell’interesse degli eredi seguire questo iter per poter godere dei vantaggi economici della vendita.

Come evitare l'accettazione tacita dell'eredità

Prima di tutto è opportuno ricordare che non è obbligatorio accettare l’eredità di un parente, ma è necessaria invece la trascrizione eseguita da un notaio.

Per evitare l’accettazione tacita dell’eredità è quindi necessario prima di tutto valutare i casi in cui possa essere conveniente o necessario farlo:

  • situazione debitoria: è possibile che il defunto avesse lasciato molti debiti da corrispondere, a tal punto da non poter essere sanati nemmeno con l’eredità.
  • situazione fiscale: nel caso in cui il defunto dovesse avere debiti verso l’erario in porzioni significative è importante considerare quanto sia importante accettare l’eredità,
  • situazione familiare: può essere vantaggioso escludersi dall’asse ereditario quando la composizione familiare è tale da rendere complessa la spartizione delle somme e degli immobili.

In questi casi, una prima soluzione è l’accettazione con il beneficio di inventario, attraverso la quale l’erede, sebbene accetti l’eredità, si riserva di poter fare un passo indietro nel caso in cui emergano delle situazioni fiscali e tributarie poco chiare.

Infine, è possibile anche decidere di rinunciare definitivamente all’eredità: in questo caso è obbligatorio redigere e sottoscrivere una dichiarazione scritta, depositata da un notaio o dal Cancelliere del Tribunale di riferimento.