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Imposta di successione e donazione: le nuove regole dal 2025

 Imposta di successione e donazione: 
le nuove regole dal 2025

Il Decreto successioni e donazioni ha introdotto molte novità sull’imposta di registro, tra cui anche nuove regole anche per l’imposta di successione e donazione. Con l’obiettivo di razionalizzare e semplificare le imposte indirette, il Decreto Legislativo 139/2024, in vigore dal 3 ottobre 2024, prevede nuove disposizioni per le successioni e le donazioni a partire dal 1° gennaio 2025.

Va sottolineato anche che resta come riferimento il Testo Unico approvato con il Decreto Legislativo n. 346 del 1990, al quale però sono state apportate alcune modifiche.

  1. Cosa prevede la nuova legge sulle successioni?
    1. Aliquote e franchigie
    2. Autoliquidazione
    3. Liberalità d’uso
    4. Trasferimenti d’azienda familiari
    5. Semplificazione delle dichiarazioni
    6. Trust

Cosa prevede la nuova legge sulle successioni?

Diverse novità sono state introdotte dal Testo Unico 2025 sulle successioni e le donazioni, con l’obiettivo di razionalizzare le imposte, migliorando la gestione delle stesse e semplificando la burocrazia per i contribuenti e per gli uffici dell’Agenzia delle Entrate.

Vediamo ora nel dettaglio come cambia la normativa, focalizzando l’attenzione sulle modifiche che saranno in vigore dal 1° gennaio 2025, vale a dire:

  • aliquote e franchigie;

  • autoliquidazione;

  • liberalità d’uso;

  • trasferimenti d’azienda familiari;

  • semplificazione delle dichiarazioni;

  • trust.

Aliquote e franchigie

Il decreto legislativo 130/2024 di fatto ha confermato le aliquote e le franchigie da applicare per l’imposta di donazione e di successione.

Nella tabella riportiamo in modo schematico tutte le indicazioni relative alla franchigia e all’aliquota da applicare sulla parte eccedente la stessa, in base al grado di parentela con il defunto o con il donante.

Grado di Parentela

Aliquota

Franchigia

Coniuge e parenti in linea retta

4%

€1.000.000 per beneficiario

Fratelli e sorelle

6%

€100.000 per beneficiario

Altri parenti fino al 4° grado, affini in linea retta e in linea collaterale fino al 3° grado

6%

Nessuna franchigia

Altri soggetti

8%

Nessuna franchigia

Persone con disabilità grave

Aliquota specifica in base al grado di parentela

€1.500.000 per beneficiario

 

Una delle novità introdotte dalla nuova normativa fiscale riguarda l’esclusione del “donatum” dalla perimetrazione del “relictum”, sia ai fini delle aliquote che delle franchigie.

In sostanza viene abolito il coacervo successorio, per cui non rientreranno più nell’asse ereditario le donazioni fatte in vita dal de cuius agli eredi.

Nessuna modifica, invece, per il coacervo donativo, ossia il cumulo delle donazioni effettuate per verificare l’eventuale superamento della franchigia prevista.

Da segnalare un’importante novità per i più giovani, visto che ora le banche e gli intermediari finanziari potranno permettere lo svincolo anticipato delle attività ereditate.

Ciò sarà possibile però solo se nell’asse ereditario ci sono beni immobili, con un unico erede al di sotto dei 26 anni di età.

In tal caso, il beneficiario potrà ricevere, anche prima della presentazione della dichiarazione di successione, la somma necessaria per coprire il pagamento delle varie imposte: catastali, ipotecarie, di successione e di bollo.

Autoliquidazione

La nuova normativa ha introdotto il principio dell’autoliquidazione dell’imposta, in base al quale il contribuente potrà in autonomia calcolare e versare quanto dovuto per la successione.

In seguito, sarà il Fisco ad effettuare i controlli e in caso di errori o irregolarità richiederà un’imposta complementare, con un avviso di liquidazione della stessa, accompagnato da una sanzione amministrativa.

Quest’ultima sarà ridotta a un terzo se il pagamento sarà effettuato entro il termine previsto per la presentazione del ricorso.

Alle somme da pagare in seguito alla rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta sarà applicato un interesse nella misura del 4,5%.

Liberalità d’uso

Nel TUSD (testo unico sulle successioni e le donazioni) è prevista l’esenzione dall’imposta di successione per le liberalità d’uso, ossia quelle concesse per servizi resi o conformi agli usi, come ad esempio i regali di Natale.

L’imposta non è applicata neanche alle donazioni di modico valore, mentre resta valida per quelle remuneratorie, ossia quelle fatte per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale rimunerazione, secondo quanto previsto dall’articolo 770 del Codice Civile.

Trasferimenti d’azienda familiari

Al fine di agevolare e supportare la continuità generazionale delle imprese in Italia, il decreto prevede l’esenzione dall’imposta per i trasferimenti di aziende o rami di esse, quote sociali e azioni di società di capitale e di cooperative, in favore dei discendenti e dei coniugi.

L’esclusione dalla tassazione si applica quando per effetto del trasferimento il beneficiario acquisisce il controllo di diritto o se ce n’è già uno esistente.

Per non perdere il beneficio fiscale bisogna rispettare anche altre condizioni: per le aziende e i rami di azienda, gli eredi devono proseguire l’attività per almeno cinque anni dalla data del trasferimento.

Per lo stesso arco temporale è necessario mantenere il controllo nel caso delle quote sociali e delle azioni, pena in entrambi casi la perdita dell’agevolazione e l’applicazione dell’imposta ordinaria, con l’aggiunta di sanzioni e interessi di mora.

Semplificazione delle dichiarazioni

La nuova normativa dispone l’obbligo dell’invio telematico della dichiarazione di successione entro 12 mesi dall’apertura della successione, ad eccezione dei residenti all’estero che potranno utilizzare la raccomandata.

Nell’ambito della semplificazione degli adempimenti a carico dei contribuenti, non è più necessario inviare gli estremi degli atti di vendita o cessione effettuati negli ultimi sei mesi.

Al contempo, non si devono indicare più in che modo sono state utilizzate le somme ricevute dal defunto in seguito all’alienazione di beni negli ultimi sei mesi.

Inoltre, non serve più allegare gli estratti catastali degli immobili o i certificati dei pubblici registri per navi e aeromobili, mentre si deve includere il documento di liquidazione dell’imposta sulle successioni e delle tasse per i servizi ipotecari.

Novità anche per il pagamento dell’imposta di bollo: a partire dal 1° gennaio 2025 si potrà versare tramite modello F24.

Trust

Particolarmente attese le novità introdotte per i trust, visto che ora anche ai trasferimenti di beni e diritti derivanti da questi ultimi viene applicata l’imposta di successione.

Definite le regole di territorialità: per i trust e gli altri vincoli di destinazione, l’imposta è dovuta anche quando beni e servizi si trovano all’estero, se il disponente è residente in Italia, mentre se quest’ultimo ha la residenza fuori dai confini nazionali, la tassazione si applica solo a beni e diritti esistenti nel territorio italiano.

La grande novità riguarda la possibilità di scegliere quando pagare l’imposta, ossia al momento della costituzione del trust o dell’attribuzione finale dei beni e dei diritti ai beneficiari.

La base imponibile, le franchigie e le aliquote applicabili, sono determinate con riferimento al valore complessivo dei beni e dei diritti e al rapporto tra disponente e beneficiario risultanti al momento del conferimento ovvero dell’apertura della successione.

In caso di impossibilità a determinare la categoria del beneficiario, l’imposta sarà calcolata sulla base dell’aliquota più elevata, ossia nella misura dell’8%, senza l’applicazione delle franchigie.

Successioni e Donazioni dal 1º gennaio 2025 - AGGIORNAMENTI 2025 !!

 

Successioni e donazioni dal 1º gennaio 2025 
NUOVA NORMATIVA



Cosa cambia nel 2025 per le donazioni e le successioni?

Dal 1° gennaio 2025 sono state introdotte varie novità in materia di donazioni e successioni con funzione di semplificazione, certezza del diritto e razionalizzazione. 

In particolare:

  1. per il calcolo dell’imposta di successione si considera solamente il valore di quanto ricevuto per successione a causa di morte e diventa irrilevante se lo stesso soggetto ha già ricevuto donazioni dal defunto;
  2. la dichiarazione di successione diventa un adempimento fiscale unico, avendo il contribuente il compito di autoliquidare tutte le imposte e tasse dovute, inclusa l’imposta di successione;
  3. sono previste nuove norme per la tassazione del trust

Come cambiano le franchigie e le aliquote?

Le aliquote e le franchigie non cambiano e come già previsto dalla precedente normativa l’imposta di donazione/successione

  • per coniuge, discendenti e genitori non è dovuta fino ad 1 milione di euro ed oltre tale importo è pari al 4%;
  • per fratelli o sorelle non è dovuta fino a 100.000 euro ed oltre tale importo è pari al 6%;
  • per altri parenti fino al quarto grado (es. i cugini) e per affini in linea collaterale fino al terzo grado (es. zio del proprio coniuge) è pari al 6% per l’intero importo;
  • per tutti gli altri soggetti è pari al 8% per l’intero importo.

L'attuale normativa consente al coniuge, ai discendenti ed ai genitori di ricevere fino ad 1 milione di Euro per donazione e fino ad 1 milione di Euro per successione, ed ai fratelli e sorelle possono ricevere fino a 100.000 euro per donazione e fino a 100.000 euro per successione, senza dover pagare nè l’imposta di successione nè quella di donazione. 

A differenza di quanto previsto in passato, per verificare se opera l’esenzione dall’imposta di successione quindi diventa irrilevante se un soggetto beneficiato per successione a causa di morte ha già ricevuto donazioni dallo stesso defunto.

In cosa consiste il principio dell'autoliquidazione dell'imposta?

Sulla base di questo principio fiscale, il calcolo delle imposte è compiuto dallo stesso contribuente e non dall’Amministrazione Finanziaria, che conserva però un potere di controllo successivo. 

L’autoliquidazione consente di accelerare i tempi di riscossione delle imposte, ma comporta per il contribuente maggiori responsabilità, in quanto potrà subire sanzioni oltre che per il mancato pagamento delle imposte dovute, anche per errori commessi nel calcolo delle imposte pagate: per questa ragione è sempre consigliata l’assistenza fiscale di un professionista.

Come viene semplificata la dichiarazione di successione?

Per le successioni aperte a partire dal 1°gennaio 2025, la dichiarazione di successione diventa un adempimento fiscale telematico onnicomprensivo.

Il contribuente deve fornire nella dichiarazione di successione le informazioni richieste ai fini fiscali (relative al patrimonio ed alla composizione familiare del defunto) e deve autoliquidare tutte le imposte e tasse dovute per la successione.

Oltre alle imposte ipotecarie e catastali, ai bolli ed alla tassa catastale già autoliquidate sulla base della precedente normativa, da oggi è tenuto anche all’autoliquidazione dell’imposta di successione.

Diversamente dal passato, il contribuente non deve attendere che la liquidazione dell’imposta di successione sia eseguita dall’ Agenzia delle Entrate e notificata entro i successivi tre anni e può concludere tutto l’iter fiscale molto più rapidamente calcolando tutte le imposte dovute e pagandole in un’unica soluzione.

Sulla base dell’attuale normativa, ferma l’autoliquidazione di tutte le imposte, il contribuente può anche decidere di rinviare il pagamento della sola imposta di successione ad un momento successivo alla presentazione della dichiarazione di successione, purchè ciò avvenga entro 90 giorni dal termine di presentazione.

Altra innovazione riguarda la possibilità di indicare in un apposito quadro (EI) informazioni utili per facilitare le volture catastali. 

Come cambia la disciplina del trust?

Risolvendo una questione molto dibattuta in passato, oggi la legge prevede espressamente che il contribuente può decidere se pagare l’imposta di donazione in “in entrata” (al momento della costituzione del vincolo di trust) o “in uscita” (al momento in cui i beni sono trasferiti al beneficiario).

Se si decide di pagare l’imposta di donazione “in entrata” si avrà un esborso immediato, ma con la certezza delle norme fiscali applicabili, mentre al futuro trasferimento dei beni al beneficiario, sarà applicata un’imposta fissa. 

Diversamente, se si decide di pagare l’imposta fissa al momento della costituzione del bene in trust, per usufruire di un risparmio immediato, quando si procederà con il trasferimento dei beni al beneficiario dovrà essere pagata l’imposta di donazione “in uscita” sulla base della normativa che sarà vigente in quel momento e che potrà essere differente da quella attuale, eventualmente anche più gravosa.

Quali sono le imposte che gravano oggi sulla donazione di un immobile?

La donazione di un immobile comporta il pagamento di cinque voci/tributi. Oltre all’imposta di bollo fissa (230 Euro), infatti, sono dovute: 

  1. l’imposta di donazione che è proporzionale al valore del bene donato e segue le stesse regole sopra esposte per il calcolo dell’imposta di successione;
  2. le imposte ipotecaria e catastale, rispettivamente pari al 2% ed all’1% del valore catastale dell’immobile donato;
  3. la tassa ipocatastale fissa necessaria per consentire la trascrizione e la voltura dell’atto (90 Euro).

Eccezionalmente, se il donatario può richiedere le agevolazioni prima casa, può beneficiare del pagamento delle sole imposte ipotecarie e catastali nella misura fissa di Euro 200 ciascuna.

L’imposta di donazione, invece, indipendentemente dalla richiesta di agevolazione prima casa, è sempre proporzionale, ma come avviene per l’imposta di successione si calcola in modo differente a seconda dei rapporti che intercorrono tra donante e donatario: l’imposta è più bassa se vi sono rapporti familiari tra donante e donatario, mentre l’aliquota è più elevata se la donazione è compiuta tra estranei. 

Come già precisato, poi, per le donazioni tra i familiari più stretti sono previste anche delle franchigie e quindi delle soglie sotto le quali opera una esenzione e l’imposta di donazione non è dovuta.

Usucapione di beni immobili: i requisiti e come funziona per la casa

Usucapione di beni immobili: 

i requisiti e come funziona per la casa  


L'usucapione di beni immobili permette di ottenerne la proprietà dopo 20 anni di uso continuativo, rispettando alcuni requisiti.

Come funziona l’usucapione per beni immobili e, soprattutto, quali requisiti sono necessari per ottenere la proprietà di una casa? Si tratta di curiosità certamente diffuse, in particolare fra coloro che da anni vivono e gestiscono abitazioni, o altri fabbricati, altrui. Si può davvero diventarne gli effettivi proprietari?

L’usucapione è un istituto giuridico che permette a un soggetto di diventare proprietario di un bene - mobile o immobile - semplicemente possedendolo per un periodo di tempo stabilito per legge. Conosciuto anche come prescrizione acquisitiva, poiché l’individuo acquisisce nel tempo un diritto di proprietà, per gli immobili prevede una durata di 20 anni di uso continuativo e pubblico affinché possa essere rivendicato. Come facile intuire, si tratta di un istituto complesso, per questo è utile vagliare l’opinione del notaio sull’acquisto per usucapione.

Cos’è l’usucapione per beni immobili?

Come già spiegato in apertura, l’usucapione è un istituto giuridico che permette a un individuo di diventare proprietario di un bene - in questo caso, immobile - possedendolo per un periodo di tempo previsto per legge.


Usucapione, chiavi di casa: Pexels

Regolamentato dagli articoli 1158 e successivi del Codice Civile, l’usucapione di fatto permette di acquisire un titolo di proprietà su un immobile a scapito del proprietario originale, senza che fra le parti venga posta in essere una compravendita. In altre parole, poiché chi si avvale dell’usucapione si è occupato del bene in modo continuativo ed esteso, ne può diventare il legittimo proprietario.

Non è però tutto, poiché tramite questo istituto chi viene riconosciuto come proprietario del bene immobile, gode anche:

  • della mancata possibilità di opposizione da parte del proprietario iniziale;
  • della mancata possibilità di opposizione da parte di soggetti terzi.

Ma esiste ancora l’usucapione? Questa modalità non è molto diffusa, poiché i requisiti di legge per accedervi sono decisamente rigidi, tuttavia risulta sempre più frequente per gli immobili intestati a defunti, sia in presenza che in assenza di eredi.

Naturalmente, per poter approfittare di questa possibilità è necessario soddisfare i requisiti previsti dal Codice Civile, così come rispettarne le rispettive modalità e tempistiche.

Quando scatta il diritto di usucapione?

Ma quali sono i requisiti per l’usucapione di un immobile? Non è infatti sufficiente abitarci, ma è necessario dimostrare che:

  • il possesso sia continuo nel tempo, per i beni immobili non meno di 20 anni;
  • il possesso sia ininterrotto, ovvero non vi siano dei periodi in cui non si ha effettivamente avuto il possesso dell’immobile;
  • il possesso sia pacifico, cioè in assenza di abusi, violenze, minacce o qualsiasi altro mezzo che potrebbe aver inficiato la possibilità del primo proprietario di avvalersi del bene;
  • il possesso sia pubblico, ovvero non deve avvenire di nascosto dal primo proprietario e deve essere noto a quante più persone possibili.

Non è però tutto, perché affinché l’usucapione possa essere esercitato è anche indispensabile dimostrare che:

  • il soggetto richiedente voglia possedere l’immobile come se fosse il titolare;
  • si tratti di un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altri diritti reali, cioè non è possibile acquisire per usucapione diritti personali;
  • lo stato della gestione e dell’uso dell’immobile permette al soggetto che ne beneficia di apparire come il titolare del diritto di proprietà.

È inoltre utile specificare che, in alcuni casi, è possibile approfittare dell’usucapione veloce: ad esempio, come previsto dall’articolo 1159 del Codice Civile, la durata si riduce a 10 anni per coloro che acquistano un immobile in buona fede da un soggetto non proprietario. 

Beni immobili e usucapione: un esempio

Come appare evidente, la disciplina sull’usucapione è decisamente complicata. Per questa ragione, può essere utile far ricorso a un esempio.

Si ipotizzi che un individuo trovi un’abitazione abbandonata e fatiscente. Incuriosito dalla costruzione, decide di stabilirvisi e di eseguire dei lavori di ristrutturazione sulla stessa, senza nascondere la propria attività a terzi. 

Ad esempio, il soggetto rende pubblicamente noto di aver preso dimora presso l’abitazione abbandonata o, ancora, vi invita altre persone per trascorrere del tempo insieme.

Ancora, l’individuo in questione si occupa anche della gestione dei rapporti con i vicini confinanti e, nonostante il proprietario iniziale sia a conoscenza della situazione, non interviene per ristabilire i suoi diritti di proprietà. Trascorsi 20 anni, il soggetto potrà avanzare la richiesta di usucapione.

Come appare evidente, il soggetto che ha deciso di stabilirsi nell’edificio fatiscente può dimostrare di avere esercitato un possesso continuo e ininterrotto, goduto non solo pacificamente - come dimostra il mancato intervento del proprietario a conoscenza dei fatti - ma anche in modo pubblico e manifesto.

Come si richiede l’usucapione

Analizzati i contesti di legge, come si richiede l’usucapione? In caso tutti i requisiti vengano soddisfatti, non esiste una procedura automatica per richiedere di acquisire la titolarità dell’immobile. È infatti necessario avviare una causa in Tribunale verso il proprietario iniziale del bene, con l’obbligo di dimostrare di avere tutti i requisiti necessari per poter usufruire dell’usucapione stesso.

Non è però tutto, perché il Decreto Legislativo 28 del 2010 ha introdotto la mediazione obbligatoria per l’usucapione: di conseguenza le parti, prima di finire in tribunale, dovranno tentare la carta di una conciliazione. Perciò:

  • se le parti trovano un accordo, verrà redatto un verbale a testimonianza degli impegni pattuiti;
  • se le parti non trovano un accordo, il mediatore presenta un verbale di mediazione negativa e, successivamente, viene avviata la causa in tribunale.

Come dimostrare l’usucapione di un immobile

Naturalmente, chi richiede l’usucapione di un bene immobile deve dimostrare di averne i requisiti. A questo scopo, l’orientamento più recente della giurisprudenza è considerare qualsiasi elemento di prova come valido. Ad esempio:

  • ci si può avvalere di testimoni, pronti a confermare che per 20 anni si è gestito il possesso del bene in modo continuativo, pacifico e pubblico;
  • si possono portare a suffragio della causa elementi che confermano il possesso esclusivo dell’immobile, come la sostituzione delle serrature, le ricevute dei lavori di ristrutturazione effettuati, l’implementazione di recinzioni o mura divisorie sul fondo che ospita l’immobile e molto altro ancora.

Usucapione, martello del giudice

Pexels

Data la complessità della fase di accertamento, è sempre utile affidarsi a professionisti esperti, quali avvocati specializzati in cause immobiliari. Ma, nei fatti, quando un’immobile diventa di proprietà per usucapione? Solo al termine della causa in tribunale, in caso il giudice decida di trasferire la suddetta proprietà dal titolare originario al richiedente.

Quando non è possibile l’usucapione sui beni immobili

Infine, è utile anche verificare i limiti dell’usucapione, ad esempio su quali tipologie di immobili o di relazioni questa possibilità non sia ammessa dalla legge. In linea generale, non è possibile procedere alla richiesta per:

  • immobili sui quali vi sono diritti personali di godimento, come il diritto d’uso o di abitazione;
  • beni immobili indisponibili dello Stato o degli Enti Pubblici, come ad esempio gli uffici scolastici o le caserme;
  • beni immobili di enti religiosi o ecclesiastici;
  • beni immobili appartenenti al demanio pubblico;
  • immobili confiscati dallo Stato all’interno di procedimenti penali;
  • immobili di interesse storico, artistico o archeologico.


Inoltre, una sentenza del Tribunale di Tivoli - la 326 del 2017 - nega la possibilità di richiedere l’usucapione di beni immobili tra parenti. Data questa considerazione, è lecito chiedersi: la successione blocca l’usucapione? No, l’avvio di una procedura di successione verso gli eredi non ferma la procedura di usucapione avviata da terzi, poiché non si tratta di una fattispecie prevista dal Codice Civile, nell’articolo 1165 e successivi.



Cos’è il diritto di superficie e come viene utilizzato:

Cos’è il diritto di superficie e come viene utilizzato:
L
’art. 952 c.c. reca la costituzione del diritto di superficie, un diritto reale di godimento che consente di costruire e mantenere una costruzione sul suolo altrui.



18 Aprile 2023

Cosa significa avere il diritto di superficie? Si tratta di un diritto reale di godimento che permette a un soggetto di edificare al di sopra o al di sotto di una proprietà altrui.

In altre parole, acquisire un diritto di superficie significa entrare in possesso solo della costruzione ma non del suolo. Solo i beni immobili possono essere oggetto di questo diritto.

Cerchiamo di capire meglio come funziona il diritto di superficie sancito dal Codice civile italiano.
La disciplina del diritto di superficie, appartenente al campo del diritto privato, è contenuta nel Codice civile, più precisamente negli articoli 952 c.c. e seguenti. Il diritto in questione è costituito da due comma che individuano due differenti tipologie di diritto di superficie:

Il diritto di costruire e mantenere la proprietà superficiaria;
il diritto di proprietà di una costruzione preesistente, acquistata separatamente rispetto al suolo.
Entrambe le fattispecie, all’art. 952 c.c., condividono le modalità di costituzione del diritto, ovvero:

  • contratto;
  • testamento;
  • usucapione.

Ad ogni modo, i soggetti che desiderano beneficiare di una proprietà superficiaria, devono acquistare il diritto di superficie con atto notarile. In tale atto si sanciscono gli accordi tra proprietario e superficiario.

In alcuni casi, tuttavia, il diritto di superficie può essere costituito attraverso un provvedimento amministrativo, come nel caso della concessione edilizia. In ogni caso, la costituzione del diritto di superficie deve essere formalizzata in modo scritto e resa pubblica presso il registro immobiliare.

Diritto di superficie: un esempio concreto



Il proprietario del suolo ha a disposizione diverse opzioni che riguardano la cessione del diritto di superficie. Dal momento che il proprietario del suolo può trasferire il diritto di superficie al di sopra e al di sotto del suolo, l’ipotesi classica prevede la divisione dei due spazi e dei diritti ad essi attinenti a due soggetti diversi.

Il proprietario del suolo può costituire il diritto di superficie di una costruzione (edificata sul suolo) a un soggetto, e la proprietà del garage o struttura al di sotto del suolo ad un terzo. 

Un altro esempio di diritto di superficie può essere quello di un’azienda che potrebbe avere la necessità di costruire un edificio per ampliare le sue attività senza però acquisire anche la proprietà del suolo.

Ancora, un’altra forma di diritto di superficie potrebbe riguardare l’acquisizione di una costruzione preesistente da parte di un’azienda su un terreno di proprietà altrui.

Diritto di superficie e diritto di proprietà: le differenze


diritto di superficie

Il diritto di superficie e il diritto di proprietà sono due concetti giuridici differenti, ma spesso confusi tra loro. Il primo è un diritto reale limitato, che permette ad un soggetto di costruire o coltivare su un terreno che non gli appartiene per un determinato periodo di tempo e di acquistarne la proprietà superficiaria.

In genere la durata del diritto di superficie è di 99 anni, passibile di rinnovo per altri 99 anni. Il secondo, invece, è un diritto di godimento pieno assoluto sul bene immobile, che comporta la piena disponibilità e la possibilità di disporre del terreno in qualsiasi modo si desideri. 

La trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà, tuttavia, è possibile e rappresenta un passaggio importante che comporta l’estinzione del primo diritto e la nascita del secondo. In senso pratico, significa che il superficiario diventa pieno proprietario del terreno sul quale ha edificato o coltivato.

trasformazione diritto di superficie in diritto di proprietà



Ma quanto costa trasformare il diritto di superficie in diritto di proprietà? La risposta dipende da vari fattori, tra cui la situazione urbanistica del territorio e la valutazione del terreno stesso. In genere, il costo può essere elevato, ma per capire quanto vale il diritto di superficie, è necessario valutare attentamente i pro ed i contro di questa operazione.

I vantaggi della trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà sono la possibilità di vendere il terreno o di utilizzarlo come garanzia per un prestito. Ma l’acquisizione della piena proprietà del suolo oltreché della costruzione comporta anche degli svantaggi, come l’obbligo di pagare tasse e imposte.

Legge 167, edilizia convenzionata e diritto di superficie
La legge 167/1962 è una norma che ha introdotto in Italia la cosiddetta edilizia convenzionata, un sistema di incentivazione alla realizzazione di edifici a destinazione residenziale a prezzi contenuti e, pertanto, destinati a famiglie con redditi bassi o medi.

edificio residenziale


Il diritto di superficie può essere utilizzato come strumento per la realizzazione di edilizia convenzionata poiché consente ai proprietari del terreno di mettere a disposizione il suolo per la realizzazione di opere a destinazione residenziale.

Una volta terminati i lavori, le costruzioni possono diventare di proprietà dei concessionari del terreno, i quali si impegnano a vendere gli appartamenti a prezzi vantaggiosi per le famiglie a basso reddito.

Durata ed estinzione del diritto di superficie




Le regole del diritto privato sul diritto di superficie recano anche la durata ed il momento in cui il diritto si considera estinto.

In particolare, all’art. 953 c.c. si afferma che la durata del diritto di superficie può essere indeterminata o determinata (durata di 99 anni).

A tal riguardo, la trasformazione della proprietà superficiaria in proprietà piena può avvenire anche con l’istituto del “riscatto del diritto di superficie” con il quale alcuni Comuni concedono la modifica del diritto anche prima della scadenza dei 99 anni.

diritto di superficie durata

All’art. 954 c.c., invece, elenca le cause di estinzione del diritto di superficie, ovvero quando vi sono le seguenti situazioni:

  • scadenza del termine per cui è stato concesso il diritto;
  • compimento dell’opera o della coltura e, dunque, l’adempimento delle condizioni previste dal contratto di superficie;
  • prescrizione per mancato uso del diritto;
  • rinuncia volontaria del superficiario;
  • revoca del proprietario;
  • perdita della proprietà del fondo da parte del proprietario.
L'estinzione del diritto di superficie sull’immobile o sul sottosuolo comporta la cessazione dei diritti e delle obbligazioni tra il superficiario e il proprietario del terreno su cui estendeva il diritto. In sostanza, il titolare del diritto perde la facoltà di utilizzare il terreno ed il proprietario ne riacquista il pieno controllo.


Le imposte obbligatorie che riguardano il diritto di superficie

diritto di superficie imposte



Dopo la cessione del diritto di superficie e l’utilizzo da parte del titolare, quest’ultimo è tenuto a pagare delle imposte. In particolare, si tratta di:

  • imposte di registro;
  • imposta municipale sugli immobili (IMU).
Pertanto, prima di procedere con la costituzione del diritto di superficie, è necessario avere conoscenza dell’importo tassabile a seconda che si tratti di acquisizione del diritto da parte di una persona fisica o un’impresa.

Diritto di superficie su terreno agricolo e area demaniale
diritto di superficie terreno agricolo



Il diritto di superficie può essere costituito anche dai proprietari di terreni agricoli per un tempo determinato.

Quando l’oggetto del diritto di superficie è un terreno agricolo, è possibile che il superficiario desideri sfruttare il terreno per installare un impianto fotovoltaico.

In questo caso, il titolare del diritto di superficie sarà soggetto al pagamento della tassazione sul fotovoltaico per diritto di superficie. Più nello specifico si tratta di un’imposta di registro, la cui aliquota specifica è fissata all’8%.

tassazione fotovoltaico diritto di superficie



È anche possibile acquisire il diritto di superficie su area demaniale e dunque su un bene destinato all’uso gratuito dei cittadini. La costituzione di tale diritto consente di occupare l’area dietro il pagamento di un canone. È il caso, ad esempio, delle concessioni marittime per la realizzazione di lidi privati.


Cosa fare in caso di servitù di passaggio


Se si possiede un diritto di superficie su un terreno ma è presente una servitù di passaggio che consente ad altri soggetti di attraversarlo per accedere ad altre proprietà, è importante conoscere i propri diritti e doveri in materia.

servitù di passaggio

In primo luogo, è necessario verificare che la servitù di passaggio sia effettivamente legittima e costituita in modo corretto.

Nel caso in cui si riscontrassero irregolarità, si potrebbe ottenere la rimozione. Nel caso in cui la servitù sia completamente legittima, il proprietario del terreno potrebbe richiedere un indennizzo per il suo utilizzo.

Tuttavia, se il diritto di superficie è stato costituito successivamente alla servitù di passaggio, il proprietario del terreno potrebbe essere obbligato a consentire il passaggio gratuito ai soggetti aventi diritto sulla servitù.

Per evitare problemi di ogni sorta, è possibile individuare un accordo tra il titolare del diritto di superficie ed il proprietario della servitù nei casi di servitù volontarie. Di contro, per le servitù coattive è la legge a imporre ai soggetti le procedure da seguire.

Riacquisto “prima casa”: in un anno deve diventare abitazione principale

Il contribuente, che vende l’immobile nei cinque anni successivi all’acquisto agevolato, è tenuto non solo a comprare un nuovo appartamento ma, altresì, ad adibirlo a propria abitazione principale

In caso di alienazione della “prima casa”, entro 5 anni dall’acquisto, il contribuente evita la decadenza dall’agevolazione fiscale soltanto se acquista, entro un anno dall’alienazione, un altro immobile e lo adibisce effettivamente a propria abitazione principale. 

In questo senso si è espressa, confermando il proprio orientamento, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 24457 dell’8 agosto 2022.

Prima di esaminare la vicenda concreta, è opportuno ricordare che l’agevolazione “prima casa” è disciplinata dalla nota II-bis dell’articolo 1 della Tariffa, parte prima, allegata al Testo unico dell’imposta di registro (Dpr n. 131/1986.

Come evidenziato nella motivazione della sentenza in commento, tale nota detta una diversa disciplina a seconda che si tratti:

    • di un “primo” acquisto della “prima casa” da parte del contribuente del “riacquisto” della “prima casa” che interviene dopo che il contribuente ha alienato, entro cinque anni dall’acquisto, l’abitazione per la quale aveva goduto delle agevolazioni fiscali.

In particolare, occorre distinguere le seguenti ipotesi:

  • il contribuente che, per la prima volta, acquista un’abitazione con le agevolazioni “prima casa” deve essere residente, al momento dell’acquisto, nel Comune in cui si trova l’immobile acquistato. 

In caso contrario, se non ricorrono alcune circostanze particolari indicate nella citata nota II-bis, il contribuente deve obbligarsi, nell’atto di compravendita, a trasferire la propria residenza in detto Comune, entro 18 mesi dall’acquisto. 

Come si può facilmente notare, in occasione del “primo acquisto”, ai fini del mantenimento della residenza, il legislatore non richiede che l’immobile sia utilizzato quale propria abitazione dal contribuente che lo acquista con i benefici fiscali. 

È sufficiente che il contribuente abbia o acquisisca entro 18 mesi la residenza nel Comune in cui si trova l’abitazione acquistata in forma agevolata. 

Pertanto, ad esempio, in presenza degli altri requisiti previsti dalla norma, il contribuente può avvalersi del beneficio fiscale anche nel caso in cui, subito dopo l’acquisto, concede in locazione l’abitazione. Allo stesso modo, le agevolazioni sono riconosciute anche in caso di acquisto di un’abitazione già locata

  • il contribuente che ha già goduto dell’agevolazione “prima casa” e aliena l’immobile prima del decorso di cinque anni dall’acquisto, decade dall’agevolazione stessa. 

Il comma 4 della richiamata nota II-bis prevede, però, che la decadenza è evitata nel caso in cui il contribuente, “entro un anno dall'alienazione dell'immobile acquistato con i benefici di cui al presente articolo, proceda all'acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale”. A differenza di quanto avviene per il “primo acquisto”, il contribuente che procede a un nuovo acquisto agevolato, al fine di evitare la decadenza dall’agevolazione per alienazione infraquinquennale, è tenuto non solo ad acquistare un nuovo appartamento ma, altresì, ad adibirlo a propria abitazione principale.

Questo aspetto, da ultimo evidenziato, è stato alla base della pronuncia della Corte di cassazione in esame.

Nel caso concreto il contribuente, dopo l’alienazione infraquinquennale dell’abitazione per la quale aveva goduto delle agevolazioni “prima casa” aveva riacquistato, entro un anno dall’alienazione, un altro fabbricato abitativo.

L’ufficio dell’Agenzia delle entrate, presso il quale era stato registrato il primo atto di acquisto agevolato, ha revocato le agevolazioni dopo aver constatato che l’immobile oggetto del riacquisto non era stato adibito ad abitazione principale del contribuente.

La notifica dell’avviso di liquidazione, avente a oggetto la revoca delle agevolazioni, è avvenuta a distanza di circa tre anni dalla data del riacquisto dell’abitazione.

Il contribuente ha ritenuto infondata la decadenza dalle agevolazioni fiscali in considerazione del fatto che, entro un anno dall’alienazione infraquinquennale, aveva comunque acquistato un’altra abitazione.

Sia la Ctp che la Ctr della Toscana (decisione n. 731 del 3 maggio 2019) hanno accolto la tesi del contribuente, anche in considerazione del fatto che la normativa in tema di riacquisto dell’abitazione, non indica espressamente un termine entro il quale il contribuente deve adibire l’immobile acquistato a propria abitazione principale, al fine di evitare la decadenza dall’agevolazione.

I giudici della Corte di cassazione, invece, hanno ritenuto legittima la revoca delle agevolazioni, evidenziando soprattutto che, al fine di evitare la decadenza per alienazione infraquinquennale, non è sufficiente procedere, entro un anno dall’alienazione, all’acquisto di altro fabbricato, ma è necessario che l’immobile oggetto del riacquisto sia effettivamente adibito ad abitazione principale del contribuente.

In merito al termine entro il quale il nuovo immobile deve essere adibito ad abitazione principale, è stato accolto il principio, sostenuto dall’amministrazione finanziaria, in base al quale la circostanza che detto termine non sia stato predeterminato dal legislatore, non vuol dire che il contribuente può rinviare all’infinito l’utilizzo del nuovo immobile quale abitazione principale, ma è necessario che tale utilizzo avvenga entro un termine ragionevole.

In particolare, è necessario che l’immobile sia adibito ad abitazione principale prima della scadenza del termine a disposizione dell’ufficio per l’esercizio dei controlli di propria competenza.

L’amministrazione finanziaria si era pronunciata in tal senso già con le risoluzioni nn. 192/2003 e 44/2004 e con la circolare n. 18/2013.

Nella motivazione la Corte di cassazione ha richiamato, in senso conforme le proprie pronunce nn. 17148/2018, 22488/2020 e 5353/2020 e la sentenza della Corte Costituzionale n. 46/2009.

Per i motivi sopra indicati è stata ritenuta legittima la revoca delle agevolazioni fiscali.

Residenza nella “prima casa” entro 18 mesi: un termine tassativo

25 Ottobre 2022

La dichiarazione con la quale, nell’atto di acquisto, ci si impegna a rispettare la condizione alla base dell’agevolazione, deve inderogabilmente concretizzarsi in un anno e mezzo
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Il contribuente che acquista, con le agevolazioni “prima casa”, un’abitazione situata in un Comune diverso da quello nel quale è residente, è tenuto a spostare la propria residenza nel Comune in cui si trova l’abitazione entro 18 mesi dall’acquisto. 
Si tratta di un termine perentorio, il cui mancato rispetto determina la decadenza dall’agevolazione “prima casa”. 
Questo principio è stato affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 26599 del 9 settembre 2022.

Al riguardo, premettiamo che l’agevolazione “prima casa” è disciplinata dalla nota II-bis dell’articolo 1 della Tariffa allegata al Testo Unico sull’imposta di registro (Dpr n. 131/1986).

La normativa stabilisce che, per usufruire dell’agevolazione, devono ricorrere determinati requisiti, sia soggettivi che oggettivi. Tra questi ultimi rientra il requisito inerente al luogo in cui deve essere situato l’immobile per il quale si usufruisce dell’agevolazione.

A parte alcuni criteri particolari (contribuente che svolge la propria attività nel luogo in cui si trova l’immobile acquistato, contribuente emigrato all’estero per lavoro, cittadino italiano iscritto all’Aire) il criterio generale, relativo al luogo in cui è situata l’abitazione agevolata, prevede che il contribuente sia residente, alla data di acquisto, nel Comune in cui si trova tale immobile. 

Qualora tale condizione non ricorre già al momento della stipula, il contribuente, per godere delle agevolazioni, deve obbligarsi, in atto, a trasferire in tale Comune la propria residenza entro 18 mesi.

In quest’ultimo caso, l’agevolazione viene concessa in sede di registrazione dell’atto. 

Successivamente, l’amministrazione finanziaria dovrà verificare che l’impegno assunto dal contribuente, in merito al cambio di residenza, sia stato effettivamente mantenuto.

Nel caso in esame, oggetto della sentenza n. 26599/2022, l’ufficio territoriale dell’Agenzia delle entrate, constatato il mancato rispetto dell’impegno del trasferimento della residenza entro 18 mesi dall’acquisto, aveva revocato le agevolazioni, sia relativamente all’imposta di registro, che per l’imposta sostitutiva sui finanziamenti, in relazione al mutuo che il contribuente aveva acceso al fine di procedere all’acquisto dell’abitazione.
  
In seguito al ricorso presentato dal contribuente, la Ctp di Milano ha annullato l’avviso relativo alla decadenza dalle agevolazioni, ritenendo che il termine di diciotto mesi previsto dalla norma sopra indicata fosse un termine meramente ordinatorio e non perentorio. 
Secondo la Ctp, in pratica, il contribuente mantiene le agevolazioni se trasferisce la residenza entro 3 anni dall’acquisto.

In sede di appello, invece, la Ctr della Lombardia (decisione n. 3477 del 13 settembre 2019) ha concordato con la tesi dell’ufficio, secondo la quale il termine di diciotto mesi è perentorio.

Quest’ultima tesi è stata condivisa anche dalla Corte di cassazione, la quale ha evidenziato che la dichiarazione con la quale un contribuente, nell’atto di acquisto della “prima casa”, si obbliga a trasferire la propria residenza entro diciotto mesi dall’acquisto, rappresenta solo una delle condizioni imposte al contribuente in tema di residenza. L’altra condizione è quella di procedere, effettivamente, al cambio di residenza entro diciotto mesi dall’acquisto.
 
In particolare i giudici hanno richiamato il proprio orientamento espresso con le ordinanze nn. 17629/2021 e 17867/2022, con le quali si era già affermato che  “…ai fini della fruizione dei benefici fiscali previsti per l'acquisto della prima casa, e in applicazione dell'art. 1,nota II bis, comma 1, lett. a), della Tariffa, Parte Prima, D.P.R. n. 131 del 1986, l'acquirente assume un vero e proprio obbligo verso il fisco con la dichiarazione di voler stabilire la propria residenza nel comune in cui è sito l'immobile, da adempiere nel termine perentorio, e non sollecitatorio, di diciotto mesi dalla stipula dell'atto, comportando il suo inadempimento la decadenza dal beneficio, anticipato al momento della registrazione”.

I giudici hanno respinto anche le ulteriori osservazioni del contribuente, relativamente ai seguenti aspetti:
secondo il contribuente, il termine per spostare la residenza nel Comune in cui si trova l’abitazione acquistata deve decorrere dalla data di registrazione dell’atto e non dalla data di stipula, in quanto l’elemento costitutivo del beneficio fiscale è rappresentato, appunto, dalla registrazione dell’atto e non dalla stipula. 

Tale osservazione non è stata accolta, in quanto la norma, in tema di residenza, prevede che 
“…l'immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l'acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall'acquisto la propria residenza”. 

Dal tenore letterale della norma è evidente che i diciotto mesi decorrono dalla data di acquisto dell’immobile, vale a dire dalla data di stipula dell’atto. Non rileva, invece, la data di registrazione
il contribuente, inoltre, ha fatto presente che il ritardo nel trasferimento della propria residenza era stato causato dalle sue precarie condizioni di salute. 
Pertanto, riteneva che fosse sussistente l’esimente relativa alla causa di forza maggiore. 
Anche questa eccezione è stata respinta dalla Cassazione, in considerazione del fatto che le precarie condizioni di salute del contribuente erano preesistenti rispetto all’acquisto dell’abitazione. 

Pertanto, non poteva essere invocata l’esimente della causa di forza maggiore.

Per effetto di queste considerazioni è stata ritenuta legittima la decadenza dalle agevolazioni “prima casa”, con conseguente recupero delle imposte nella misura ordinaria.